Manager prestato alla politica, Paolo Zangrillo è il nuovo ministro della Pubblica amministrazione. Finito al ministero della Transizione ecologica per qualche ora per un «errore», consiglia ai colleghi di governo di ispirarsi a Berlusconi, sempre «mite e accomodante». Giorgia Meloni? «Una leader, il Cavaliere è stato il primo a credere in lei».
Ministro Zangrillo, è finito al posto giusto?
«Sono a palazzo Vidoni. Brunetta è una persona squisita, il passaggio di consegne sta andando molto bene».
Cosa è successo venerdì, con lo scambio di ministeri?
«Berlusconi mi aveva anticipato che voleva considerarmi nel novero dei ministri. Gli ho detto che la Pubblica amministrazione è materia che presidio, mentre al Mite ho meno competenze. Poi non ho avuto più riscontri fino alla fine. È stata una mezza sorpresa, ma credo che sia stato davvero un errore di trascrizione, perché da dieci giorni Pichetto era assegnato al Mite. Ci ho riso sopra».
Un manager del privato alla Pubblica amministrazione?
«Si tratta del più grande datore di lavoro italiano, ci sono 3 milioni e duecentomila persone. Pa significa organizzazione, obiettivi, customer satisfaction. Tutte tematiche che mi appartengono».
Avanti sulla strada tracciata dal suo predecessore?
«Brunetta ha fatto un eccellente lavoro. È riuscito a far lavorare di più la struttura della Pa centrale nella logica di considerare come Pubblica amministrazione anche i Comuni e le Regioni. Ora il tema della modernizzazione avrà una spinta significativa».
Non c’è nulla da cambiare?
«Ci sono temi che vanno accelerati e implementati. La semplificazione, prima di tutto. Significa ridurre costi di gestione e dare risposte più rapide. Renderla smart, intelligente».
La digitalizzazione però non decolla. Perché?
«Soltanto una piccola cifra di dipendenti ha avviato i percorsi di formazione, ma lo stiamo facendo in modo sistematico. Digitalizzazione è una delle chiavi irrinunciabili per avere una Pa che funzioni».
In diversi concorsi sono stati pochi i candidati, anche per ruoli chiave. Perché questo malessere?
«È una questione da approfondire, anche se io vedo un impegno significativo nella gestione del capitale umano. Si sta sfatando il mito del pubblico impiego come luogo nel quale dormire tra due guanciali. Oggi stiamo andando verso sistemi di gestione che misurano la performance in base alla soddisfazione del cliente».
Quindi?
«Questo meccanismo diventa un incentivo per chi lavora bene. Perché se sai di operare in un ambiente in cui il merito è premiato cambia tutto».
Forse gli stipendi sono bassi?
«Dobbiamo premiare merito e risultati con dei meccanismi che non si limitino a quello che è scritto nei contratti, ma prevedano premialità per performance eccellenti».
Utilizzerà lo smart working?
«È una realtà che non possiamo scartare a priori. Certo, uno che sta allo sportello non può. Serve un ragionamento serio, evoluto. Deve diffondersi la cultura del risultato: non passo il mio tempo a controllare quello che fai, ma verifico a babbo morto i risultati».
Promette che non parlerà mai di fannulloni?
«I fannulloni sono dappertutto: nelle aziende private, pubbliche, ci sono i figli fannulloni. La Pa non definisce il concetto di fannullone».
Cosa pensa del reddito di cittadinanza?
«Non sono un fan. Abbiamo il dovere di aiutare chi non è abile al lavoro, un milione e mezzo di italiani. Però non possiamo incentivare chi è abile garantendogli una retribuzione con cui può restare a casa tranquillamente, altrimenti creiamo l’illusione che si possa vivere di assistenza».
È sempre un sì Tav convinto?
«Assolutamente. Una delle grandi ricchezze del territorio piemontese è la strategicità dal punto di vista logistico. La Tav sarà un’infrastruttura determinante. Francamente mi sembra anacronistica la battaglia contro l’Alta velocità».
Si è occupato spesso di risorse umane, come si gestisce un governo?
«Serve un dialogo continuo. Di fronte a delle frizioni non si abbandona la persona con cui si confligge».
Lo dirà ai colleghi ministri?
«C’è profondo rispetto tra gli alleati, siamo diversi siamo consapevoli di essere una famiglia. Non come il centrosinistra, un cartello elettorale».
Eppure Berlusconi e Meloni se ne sono dette . . .
«Lui si dispiace quando vede che il confronto si fa rovente. È una persona mite e accomodante, se l’abbiamo visto demoralizzato è perché sentiva che non c’era dialogo».
L’ha sentito?
«Sì. Ieri ha chiamato tutti i ministri di Forza Italia per chiedere com’era andata la prima giornata. Mi ha rinnovato la sua disponibilità ad aiutarmi e darmi idee. Non ne ho conosciuti tanti di capi che si preoccupano di misurare col termometro lo stato d’animo dei loro collaboratori».
È contento dei governo?
«L’ho sentito sereno e concentrato, un mostro di ottimismo Non l’ho mai visto disperato, non lascia mai prevalere lo sconforto».
Lei cosa pensa di Meloni?
«La stimo molto, ha doti di leadership non indifferenti. Non dimentico che è un po’ figlia della storia di Berlusconi: il primo che ne ha colto potenzialità e valore è stato lui».
L’esecutivo durerà?
«Mi auguro di sì, abbiamo mesi molto difficili davanti. Io il sabato e la domenica vado al mercato e al supermercato, so quanto costano un litro di latte, un chilo di pane e un pacco di farina. Ho visto una crescita esponenziale dei prezzi, per non parlare delle bollette: sarà un inverno molto complicato. Sarebbe criminale pensare di litigare invece di trovare soluzioni».
Se le chiedessi i prezzi?
«Fino a maggio mezzo chilo di pasta era a 80-90 centesimi, adesso non costa meno di 1 euro e 40. Il latte fino a tre mesi fa 1 euro e 80, oggi 2 e 10. Visto che li so? » . —