Il Corriere del Veneto Sale all’82% in Italia e all’80,6% nel Veneto la popolazione vaccinabile, cioè sopra i 12 anni, che ha completato il ciclo anti-Covid. Percentuali che si abbassano rispettivamente al 75% e al 72,7% se invece si considera la popolazione generale, e non è una distinzione di poco conto perché con la variante Delta l’asticella si è alzata. Senza contare che è appena comparsa la variante Delta plus (86 casi in Italia, 19 in Veneto), più diffusiva del 10%-15%.
«Se con il virus originario di Wuhan si sarebbe potuta raggiungere l’immunità di gregge con il 70% degli italiani vaccinati, oggi dobbiamo arrivare al 90%», ha spiegato ieri a Venezia, al convegno «La pandemia vista con gli occhi di…» organizzato dalla Regione, il professor Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute. «Alla sua comparsa il Sars-Cov2 aveva un R0 di 1, cioè ogni soggetto contagiato poteva infettare una persona — ha ricordato l’infettivologo — oggi la Delta ha un R0 di 5/6, quindi il tasso di vaccinazione va alzato. La situazione è sotto controllo, l’Italia è tra i Paesi a più bassa incidenza grazie alla campagna di vaccinazione e al mantenimento della mascherina al chiuso. Cosa accadrà nei prossimi mesi dipende dalla capacità di recuperare gli esitanti all’anti-Covid, soprattutto i cinquantenni; dalla comparsa di altre varianti in grado di eludere parzialmente la risposta immunitaria indotta dal vaccino; dal mantenimento delle misure di contenimento; dall’accesso ai vaccini da parte di tutti i Paesi, se vogliamo limitare la circolazione del virus che potrebbe appunto dar luogo a fenomeni di resistenza alla prevenzione; e dalla durata degli anticorpi e della memoria immunitaria».
A tale proposito il governatore Luca Zaia ha ammesso: «Sono preoccupato perché non sappiamo ancora se la terza dose di richiamo sarà allargata agli under 60. Aspettiamo istruzioni dal ministero della Salute». «Anche sulla base dell’esperienza di Israele e Stati Uniti, stiamo valutando se e quando somministrarla ai più giovani — ha risposto Rezza — dopotutto la maggioranza ha iniziato il ciclo vaccinale a ridosso dell’estate, quindi c’è ancora tempo. Per loro non sono passati i sei mesi dalla seconda dose indicati per il richiamo booster, al momento somministrato ai soggetti immunocompromessi, agli over 60 fragili, ai sanitari, a personale e ospiti delle Rsa, i primi ad aver ricevuto l’anti-Covid e nei quali dunque il titolo anticorpale è sceso». Secondo il professor Andrea Crisanti, direttore della Microbiologia di Padova che l’ha appena assunta, «la terza dose va somministrata a tutti, altrimenti facciamo la fine della Gran Bretagna, che ha visto riacutizzarsi la pandemia». «E infatti — ha sottolineato il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di Sanità — una volta raggiunta la copertura voluta, andrà mantenuta. Non dimentichiamoci che se la strategia adottata sta dando buoni risultati, rispetto per esempio alla difficile situazione nei Balcani, lo si deve anche al consenso della popolazione, che ha espresso uno degli indici di adesione più alti d’Europa. La campagna ha raggiunto il picco quest’estate, ora siamo nella fase di cattura degli esitanti ma c’è la bella notizia della copertura molto elevata registrata tra i giovani. Pur partiti per ultimi, hanno raggiunto la quota degli adulti. Significa che hanno fiducia nelle istituzioni».
Sul fronte delle cure ha invece lanciato «l’allarme anticorpi monoclonali» Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del Farmaco e professore emerito di Virologia all’Università di Padova: «Purtroppo sono poco usati, restano in frigorifero (in Italia 60mila dosi giacciono negli ospedali e sono in scadenza, ndr ). Eppure sono gli antivirali più potenti, efficaci non solo a 72 ore dalla comparsa dei sintomi ma anche su pazienti gravi, ricoverati da più giorni agli Infettivi o in Terapia intensiva purché negativizzati. Possono essere usati pure per prevenire il contagio nei familiari dei contagiati oppure in soggetti reduci da assembramenti. Il problema è che vanno somministrati per via endovenosa, bisogna andare in ospedale e non tutti i pazienti lo sanno. Andrà meglio quando usciranno i nuovi monoclonali da iniettare intramuscolo o sottocute, si potranno usare nelle cure domiciliari». «Il Veneto ha trattato il maggior numero di pazienti con questa terapia, cioè 2.022 su un totale nazionale di 12.016 — ha detto Zaia —. Il problema sta nel reclutamento e allora abbiamo avviato una nuova modalità. A tutti i positivi al tampone indichiamo nel referto il numero di telefono da chiamare entro cinque giorni per potersi sottoporre all’unica seduta ospedaliera prevista di anticorpi monoclonali». Qualche Usl sta chiamando gli interessati a casa, come la Dolomiti. «In tre mesi ne abbiamo contattati e trattati cento — conferma il dottor Renzo Scaggiante, primario di Malattie infettive all’ospedale di Belluno — all’inizio solo gli over 65, come da indicazioni di Aifa, che poi invece ha tolto il vincolo, consentendoci di avvertire tutti. Tranne i ventenni, che di solito sono asintomatici».