Per la festa ha scelto la sua terra, la Treviso del mercato ortofrutticolo, sotto un tendone. A spellarsi le mani c’era il popolo della Lega ma non solo, artigiani, piccoli imprenditori, commercianti e contadini. Un migliaio di persone. «Vorrei stringere la mano a tutti i veneti che, nonostante il meteo, hanno speso il loro tempo a votare per l’autonomia, al di là delle ideologie, delle tessere di partito», li aveva chiamati a raccolta nel pomeriggio usando Facebook dopo aver risolto il problema dell’hackeraggio. In piazza la gente che si fida di lui, si ritrova nei suoi modi, semplicità e astuzia.
A vent’anni Luca Zaia qui studiava veterinaria e da instancabile pierre reclutava migliaia di giovani saltando da una discoteca all’altra — Manhattan, Diamantik, Kolossal — da un party all’altro. Oggi, con la stessa disinvoltura e frenesia, salta da un microfono all’altro nelle tv, con una particolare simpatia per quelle locali, dribblando le insidie e trovando sempre il modo di accarezzare la sua gente. Non è che sogna palazzo Chigi? «Assolutamente no, sogno un Veneto autonomo e sogno una Roma che non penalizzi più la mia terra». E giù applausi.
Col passare degli anni il governatore ha assunto anche il ruolo di leader identitario, che parla in veneto con i veneti «perché in provincia i xe sette su diese che no parla italian», sono sette su dieci a non parlare italiano. Un Durnwalder in salsa veneta, che sta allargando le simpatie: i 2 milioni e 400 mila voti di domenica vanno ben oltre il voto del Carroccio. E così il peso di Zaia sale. Intanto rispetto a Roberto Maroni che in Lombardia non ha ottenuto lo stesso successo. «Ma secondo me è invece andata bene a Roberto — dice lui —. Perché bisogna tener conto che in Lombardia l’area metropolitana ha un peso maggiore rispetto al Veneto e la metropoli è meno sensibile alle urne, in questi casi. L’abbiamo visto anche noi in Veneto».
Carezza. E intanto cresce anche rispetto al leader, Matteo Salvini, e alle sue ambizioni nazionali: «Ma io e Matteo abbiamo gli stessi obiettivi e non ho alcuna intenzione di muovermi da qui. Sarebbe peraltro poco serio da parte mia fare le valigie proprio ora e sto parlando sempre dei milioni che vogliono credere nel nostro progetto autonomista».
Zaia, che di cose ne fa mille, dice di essere contro la bulimia degli incarichi: «Una cosa per volta, e farla bene». Berlusconi in diverse circostanze non aveva nascosto di avere interesse per lui fino a dire che avrebbe potuto essere il candidato premier del centrodestra. Mentre Salvini e Maroni litigavano, Zaia intanto se ne stava in silenzio. «È un leghista furbo», aveva notato Flavio Tosi, l’ex sindaco di Verona, poi espulso dal partito.
E infatti appare accorto, moderato, di governo. E riesce a non sembrare xenofobo anche quando mette il cappello su leggi regionali che offrono corsie preferenziali ai veneti, negli asili nido, nelle case popolari. Un’astuzia che lo ha sempre aiutato, facendolo decollare fino a ministro dell’Agricoltura per poi tornare in Veneto da governatore.
Oggi chiede autonomia e federalismo. «E anche una regione a statuto speciale, ma attraverso un’altro percorso». La folla — riunita sotto il tendone del mercato ortofrutticolo, mentre mangia wurstel e stinchi con birra e prosecco — poggia i bicchieri ed esplode in un applauso.
«Non è stata un’impresa facile per noi e per voi. Siamo riusciti a fare una cosa che tutti hanno pensato ma che nessuno ha avuto il coraggio di portare avanti».
Andrea Pasqualetto – Corriere della Sera – 24 ottobre 2017