Carmelo Lopapa, Repubblica. «Si è perso lo spirito della sfida comune, quello che ha segnato l’emergenza di marzo e aprile. Sul fronte ospedaliero stiamo tenendo, almeno in Veneto. È sul piano sociale che la situazione mi preoccupa, perché è lì che si consuma la vera battaglia. È cambiato tutto rispetto alla prima ondata di primavera: il Covid non sembra più un problema della comunità, ma del singolo che viene contagiato, del paziente che finisce ricoverato. Siamo passati dal noi all’io. E così rischiamo di perdere la guerra all’epidemia».
Luca Zaia è presidente della Regione Veneto che è stata pioniera nella lotta al virus, fin dal paziente zero di Vo Euganeo del 21 febbraio. Risponde al telefono dalla sala operativa della Protezione civile di Venezia, il più quotato dei governatori leghisti: «Sono qui in pianta stabile dall’inizio di questa seconda fase, dopo i 140 giorni durante la prima». E dopo la campagna per il tampone rapido della quale la sua regione è stata apripista, adesso annuncia la sperimentazione del test “fai da te”.
Il Veneto resta in zona gialla, presidente Zaia, nonostante il numero dei positivi sia alto. Come lo spiega?
«Innanzitutto questo non è un gioco a premi. E se da un lato è un riconoscimento del nostro lavoro, dall’altro mi preoccupa che questo venga percepito come un messaggio per abbassare la guardia e darsi alle feste. Oggi abbiamo un numero assoluto di positivi di 3.200 circa. Ma facciamo 15 mila tamponi molecolari al giorno, più 10-15 mila rapidi: quasi trentamila. Il 21 marzo, a un mese dalla scoperta del paziente zero a Vo, i positivi erano 412, ma facevamo solo 2.170 tamponi. Se ne avessimo fatti 30 mila, ci saremmo ritrovati con almeno seimila positivi al giorno. E poi, la seconda ondata da noi è iniziata l’8 ottobre e dopo un mese abbiamo 200 pazienti in terapia intensiva, a marzo dopo 30 giorni le terapie intensive erano 356, la metà».
Tutto questo per dire che?
«Che sul fronte ospedaliero stiamo tenendo e funziona la medicina territoriale, su quello sociale meno.
Gli assembramenti dello scorso fine settimana nelle nostre città fanno riflettere. E scoraggiano. Bisogna convincere i cittadini a rinunciare allo struscio. E contro gli assembramenti bisogna lavorare tutti insieme, a livello nazionale».
Infatti secondo l’Ordine del medici sarebbe meglio un lockdown immediato per evitare il peggio. Lei che ne pensa?
«Se tutti facessimo ricorso, in maniera direi ossessiva, alla mascherina, se curassimo l’igiene delle mani ed evitassimo uscite e scampagnate, potremmo vivere senza restrizioni».
Dato che purtroppo non è così?
«Il lockdown sarebbe una sconfitta, la conferma che non siamo stati capaci di rispettare regole basilari.
Ma sarebbe una tragedia immane sotto l’aspetto economico. In Veneto abbiamo 60 mila posti di lavoro quest’anno, pur partendo dal tasso di disoccupazione più basso d’Italia, il 6,6%. Dico una cosa: la salute dei cittadini viene prima di tutto. Ma non possiamo assistere nei prossimi mesi alla gente che si butta dai balconi per la disperazione».
Niente lockdown, insomma.
«Io non voglio passare per chi promette cose che poi non si realizzano. Dico però che lavorerò perché non si arrivi alla chiusura di tutto. Ma i cittadini ci aiutino. Dipende in buona parte da loro».
Anche dalla sanità pubblica e dalla capacità di fare tamponi, per la verità.
«Siamo stati i pionieri dei tamponi rapidi, ai quali adesso fanno ricorso in tutta Europa. Il Veneto ora lancerà su vasta scala il test “fai da te”, semplice, non invasivo: lo abbiamo sviluppato in “casa”, col direttore del centro di Microbiologia di Treviso, Roberto Rigoli. Sarà la nostra nuova scommessa. E dalle prossime ore comunicheremo a Roma il numero dei positivi ma rapportato a tutti i temponi effettuati, anche i rapidi: l’incidenza dei contagi risulterà molto inferiore».
La chiusura delle scuole può essere una soluzione?
«Sarebbe anche questa una sconfitta.
Se le curve del contagio sono risalite in tutta Europa in concomitanza con la riapertura delle scuole. Primo esempio eclatante in Israele. Se i dati epidemiologici ci imponessero di intervenire anche sulle scuole elementari e medie, allora lo si faccia. Ma introducendo subito il congedo parentale al 100 per cento per i genitori oppure il bonus baby sitter.
Altrimenti diventa un grave problema sociale».
Salvare il Natale è una priorità?
«Il virus c’è e corre, a prescindere dalle feste. Bisogna parlare ai cittadini, trovare il modo migliore per far capire loro che dobbiamo tornare allo spirito della sfida comune di marzo».
Lei si è tenuto fuori dallo scontro regioni-governo. Come procede il dialogo con Conte?
«Le regioni sono sempre state solidali e collaborative. Ogni provvedimento è passato all’unanimità, mai nostri voti contrari. Ma sarebbe stato molto più “igienico”, per usare un termine adatto a questi tempi, se prima della ripartizione per zone ogni regione fosse stata coinvolta. Se il governo dovesse fare una riclassificazione del Veneto, ecco, vorrei dire la mia».
Presidente, da esponente di spicco della Lega, come valuta il successo di Biden negli Stati Uniti?
«In tutta sincerità, era chiaro che chiunque avesse vinto, non sarebbe crollato il sistema statunitense. E non sarebbero crollate nemmeno le Borse. Come è avvenuto. Pensare che ci sia un presidente “comunista” nell’America del 2020 è una narrazione che non condivido. Gli Usa sono stati e saranno sempre alfieri della libertà e della democrazia. Mi preoccupa di più il ruolo che giocherà l’Europa: se avesse un’identità politica potrebbe farlo da protagonista. Purtroppo da anni siamo ormai una comparsa».
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