«Un dibattito lunare». Il governatore del Veneto Luca Zaia si dice «allibito» per le 48 ore ad altissima temperatura sui vaccini. Da un lato il governo, dall’altro la Regione che amministra. «Ma noi non abbiamo mai cercato la rissa».
Sta di fatto che avete ingranato la marcia indietro.
«Il dirigente responsabile ha fatto le sue valutazioni e ha ritenuto di sospendere il provvedimento precedente».
Lei non c’entra?
«Il dirigente (Domenico Mantoan, direttore generale della sanità veneta, ndr ) ha piena autonomia. Visto il dibattito, visto cosa hanno scritto le ministre, ha sospeso. Ora la questione la esaminerà il Consiglio di Stato».
Si tira fuori?
«Vogliono dire che abbiamo fatto marcia indietro? Lo dicano pure. Ma il punto non è affatto questo».
E qual è?
«C’è un sacco di gente che parla a vanvera, senza conoscere la legge del ministro Lorenzin. Gente che pensa che il Veneto voleva tenere all’asilo i bambini non vaccinati e invece il governo li vuole tenere fuori dalle classi. Bene, noi adesso usciamo di scena.Ma questi commentatori improvvisati si mettano il cuore in pace: nelle scuole materne di ogni regione ci saranno frotte di bambini non vaccinati e non dipenderà certo dal Veneto».
Cosa intende?
«Mi segua. Parliamo solo dell’età da 0 a 6 anni. E di che cosa succede ai bambini già iscritti e non vaccinati. Il mio dirigente, che doveva dare le linee guida alle Asl del Veneto sul provvedimento del governo, ha dato un’interpretazione solo su un punto. Nell’ottica di garantire l’accesso a scuola e di rendere soft l’impatto della legge, aveva indicato nel 2019 il termine in cui l’iscrizione a scuola di un bambino non vaccinato decade».
Una sfida a quello che dice il governo.
«Ma quale sfida? Il governo dice che per continuare a stare all’asilo basta l’autocertificazione dei genitori. I quali hanno tempo fino al 31 marzo 2018. Vuoi che allo scadere di quella data, poi, non ci sia un’altra proroga? E allora, di che cosa stiamo parlando? I bambini non vaccinati continueranno ad andare all’asilo, statene certi, e nel frattempo a noi ci hanno descritto come degli “untori”, hanno creato allarmismo, detto che se ci saranno epidemie, sarà colpa del Veneto. Una discussione aberrante».
Avrà contato che sui vaccini avete da tempo una posizione diversa dagli altri.
«Sono due cose differenti. Il Veneto è contro l’obbligo vaccinale, come altri 15 Paesi in Europa tra cui Germania, Gran Bretagna, Spagna… non proprio degli sfigati. Un altro conto è il provvedimento tecnico di cui discutiamo».
In questo clima l’indicazione del 2019 è parsa una ribellione.
«In questo clima, basta che uno abbia un’idea diversa dall’obbligo di vaccinazione e diventa un No vax. Ma io sono a favore dei vaccini e non ho mai incontrato i No vax. Solo che credo molto di più al dialogo con le famiglie che alla coercizione. Gli obblighi spesso sono un boomerang. Noi non li abbiamo e, guarda caso, vacciniamo molto di più di tante regioni che li hanno. Il Veneto è tra i primi per copertura vaccinale e io nel novembre 2016 ho stabilito che nelle scuole dell’infanzia ci dovesse essere almeno il 95% di bimbi vaccinati. E danno dell’untore a me, ma dai…».
Quindi anche lei si occupa del tema.
«Io mi assumo tutte le responsabilità politiche: sul decreto vaccini del governo il Veneto ha fatto ricorso alla Corte costituzionale. Quella è una scelta della giunta e rimane. Ciò di cui si è parlato in questi giorni era un’interpretazione tecnica».
E se il dirigente l’avesse mantenuta?
«Avrei difeso la sua autonomia in ogni caso».
Nella sterzata hanno contato le polemiche politiche? FI vi aveva chiesto di ripensarci.
«Forza Italia avrà visto il dibattito, un’occasione ghiotta. E ha detto la sua».
Salvini invece l’ha sostenuta, come se lei fosse impegnato in una battaglia politica.
«Matteo ha risposto su una questione di principio, la contrarietà all’obbligo. Non per questo uno diventa un No vax».
Si è sentito sotto accusa?
«Io rispondo alla mia coscienza. Fate le verifiche di quanto vi ho detto oggi e guardate a quello che succederà nei prossimi mesi. E mi direte».
Sospesa la moratoria. «Non è un dietrofront, quesito al Consiglio di Stato e ricorso alla Consulta»
Due giorni di contatti serrati Roma-Venezia. E alla fine il Veneto ha dovuto cedere. La Regione governata dal leghista Luca Zaia si adeguerà alla legge nazionale sui vaccini obbligatori. Nessuna moratoria fino al 2019. I bambini di asilo nido e materne che lunedì non saranno in regola con la documentazione non saranno accettati, come nel resto d’Italia.
Zaia in una lettera inviata alle ministre Beatrice Lorenzin (Salute) e Valeria Fedeli (Istruzione) a proposito del decreto del suo direttore generale, Domenico Mantoan, che deliberava lo slittamento dei tempi lo definisce «temporaneamente sospeso e non revocato, resta aperto il problema dell’urgente interpretazione della legge». Su questo il Veneto formulerà un quesito al Consiglio di Stato. L’alternativa sarebbero stati «dispendiosi e defatiganti contenziosi». Dal governo centrale infatti stava per partire un ricorso al Tar per bloccare l’iniziativa regionale con la richiesta di procedure urgente.
Soddisfatta la Lorenzin: «Apprendiamo con grande piacere la decisione del Veneto di allinearsi alla normativa nazionale». La Fedeli lo é altrettanto anche in qualità di mediatrice tra le parti: «Il nostro provvedimento riguarda la salute pubblica, la sua corretta attuazione è fondamentale». L’iniziativa autonoma di Zaia, secondo Roma, era molto debole. Non teneva conto dell’ultima circolare ministeriale del 1 settembre che semplificava le procedure di iscrizione a scuola a tal punto da accreditare come certificazione valida anche il riscontro di una richiesta telefonica alla Asl per fissare un appuntamento con i servizi vaccinali.
Il Consiglio di Stato non dovrebbe impiegare meno di due mesi per rispondere al quesito. Intanto il Veneto, dopo aver fatto ricorso alla Consulta contro il decreto, ne ha presentato un altro anche contro la legge. La prossima settimana dunque,convinte o no, tutte le Regioni applicheranno in modo univoco le nuove disposizioni per l’ingresso a nido, materne e scuola dell’obbligo. Anche la Lombardia, all’inizio recalcitrante, si è adeguata. Il presidente della Liguria e vicepresidente della Conferenza delle Regioni, Giovanni Toti resta perplesso sul ricorso all’obbligatorietà: «Noi abbiamo fatto un grande lavoro per informare le famiglie e non creare percorsi a ostacoli. Zaia ha legittimamente difeso le sue posizioni».
Il Corriere della Sera – 8 settembre 2017