«Se non ci fosse l’autonomia, io sarei comunque un sostenitore del premierato. Per due ragioni: la prima, perché si rende il cittadino attore-protagonista nella scelta della sua classe dirigente, in secondo luogo perché con l’elezione diretta il capo del governo acquisisce un mandato più forte, e uno standing più rappresentativo anche nei consessi internazionali dove rappresenta il Paese».
Perché oggi non è così con Giorgia Meloni e non lo è stato con Mario Draghi?
«Lo è certamente al di là della figura che incarna il ruolo. Certamente però, non abbiamo una figura di premier forte come possono essere quelle che rappresentano il presidente della Repubblica francese o il cancelliere tedesco solo per citare i vicini capi di governo europei: fino ad ora abbiamo sempre mandato una figura spuria espressione del consenso parlamentare ma non sempre dei cittadini».
«Probabilmente arriverà prima l’autonomia che ha già un percorso maturo, mentre per il premierato ci dobbiamo assoggettare ai tempi previsti per la modifica della Carta Costituzionale, ma si va avanti».
E se non arrivassero nessuna della due? O solo il premierato e non l’autonomia differenziata, cosa accadrebbe?
«Non ho ragione di pensarlo. Sono impegni che ci siamo presi coi cittadini nel contratto di governo. Autonomia e premierato sono i pilastri fondamentali del nostro programma e non mantenerli vorrebbe dire non mantenere la parola coi cittadini».
Possibile conciliare premierato, quindi maggiori poteri al premier, con maggiori poteri alle Regioni?
«Sì, la redistribuzione dei poteri col premierato è a livello nazionale. Di pari passo a livello territoriale la via maestra è dare al Paese sempre più un’ossatura federalista, quella che pensavano i padri costituenti, ed è quello che stiamo facendo. L’autonomia è centripeta, unisce i paesi mentre i brutti centralismi come quello di questo Paese, invece, rischiano di disgregarci».
È davvero convinto che con maggiori poteri al premier l’Italia sia in grado di risolvere il nodo della governabilità?
«Coinvolgere nelle scelte i cittadini significa anche riportare l’affluenza alle urne: sono loro che scelgono e non la politica. Questo si traduce in campagne elettorali più partecipate investendo molto di più sulle persone. Non capisco, infatti, o meglio lo capisco ma non mi convincono le critiche così accese. Il dibattito è lo stesso di inizio anni Novanta quando si passò alla nuova legge elettorale. Sembrava fosse una iattura l’elezione diretta di sindaci e presidenti di Regione invece l’esito è stata la governabilità. L’elezione diretta consegna nuove responsabilità all’eletto di fronte ai cittadini, mentre il capo dello Stato resta nel ruolo di garante della costituzione».
Ma se l’opposizione continuerà a dire no, meglio fermarsi su un tema così rilevante come le riforme di sistema o procedere a colpi di maggioranza?
«Se non si troverà un punto di incontro tra maggioranza e opposizione la parola spetterà ai cittadini col referendum. Sarà il loro voto a decidere cosa è meglio per il Paese».
Senta, le opposizioni accusano il governo di aver messo nuove tasse in Manovra, di aver tassato perfino pannolini e assorbenti per le donne e di aver disatteso le promesse sugli investimenti nella Sanità pubblica. Lei che è stato in prima linea nella lotta contro la pandemia e per settimane ha vissuto nella sede della protezione civile con medici e infermieri, cosa ne pensa che queste due categorie siano pronte a scioperare e fuggire all’estero per stipendi migliori e turni meno massacranti?
«Le opposizioni fanno il loro mestiere, diventa un problema se attaccano senza se e senza ma. Neanche col Covid abbiamo visto una condotta da no fly zone. In alcuni momenti è indispensabile condividere una sfida di comunità. La nostra Sanità è un modello: un esempio concreto della nostra civiltà perché curiamo tutti, senza distinzioni di censo, colore di pelle, valori e sentimenti. Solo l’Italia riesce a dimostrare che il sistema pubblico funziona. E la richiesta di questo modello è in continua espansione: in Veneto siamo al +15% nelle richieste di prestazioni. Questo cozza con la carenza dei medici: 50 mila in meno in Italia, 3500 in Veneto».
Ma medici e infermieri non si trovano e molti scappano all’estero per guadagnare di più…
«Questo avviene grazie a chi si è battuto per il numero chiuso e ha sbagliato le previsioni. Lo dicevo in tempi non sospetti ed ero inascoltato. La sanità veneta eroga 80 milioni di prestazioni all’anno, 2 milioni di prestazioni di pronto soccorso. Siamo la Regione che ha tra i più bassi tassi di Sanità privata, e mai abbiamo abdicato alla cura nel pubblico, certo con la carenza dei medici diventa sempre più difficile».
Se non ci saranno modifiche legislative sul terzo mandato dei presidenti di Regione, lei non sarà ricandidabile. Cosa ne pensa?
«Penso che fissare un limite al numero dei mandati equivalga a dare degli idioti ai cittadini. I cittadini sanno benissimo chi scegliere, dire che bisogna mettere un blocco altrimenti si crea una cupola, significa appunto dare degli idioti ai cittadini. Chi governa bene è giusto che possa venir scelto nuovamente. E aggiungo che non ha alcun senso porre dei limiti al numero di mandati solo per i sindaci e per i presidenti di Regione».
Scusi ma è vero che è già pronto un accordo per la candidatura a sindaco di Venezia?
«Non ho mai governato pensando a cosa farò dopo perché è il modo migliore per governare bene: chi si distrae pensando al proprio futuro finisce per lavorare male pensando al dopo. Un esempio su tutti, quando è scoppiato il Covid eravamo a tre mesi dalle elezioni. Son stato il primo a fare provvedimenti pesanti di chiusura, mi criticavano anche i miei cittadini, se avessi pensato alle elezioni le cose sarebbero andate diversamente».
Sul fine vita lei ha preso posizioni diverse rispetto anche al centrodestra e al suo stesso partito, la Lega…
«Non è questione di partigianeria e ho massimo rispetto per le idee di tutti. Ma c’è una sentenza della Corte costituzionale che stabilisce i criteri: alcuni pazienti terminali chiedono di poter gestire il loro fine vita come è accaduto in Veneto e penso sia civile dare loro una risposta. Ancora più civile penso sia avere una legge che normi tutto questo nel rispetto della vita, della libertà del singolo individuo, ma garantendo che la libera scelta non sia condizionata da effetti esterni. Come il caso della signora Gloria, l’autorizzazione non viene dalla politica ma da un comitato bioetico fatto di professionisti».