Il presidente del Veneto chiede di «affidarsi a dei saggi» Lo dico con affetto e con stima: in questo momento non vorrei essere al posto di Maroni È difficile teorizzare un partito egemone al Nord se questo non è in grado di gestire il dissenso interno
«Lo dico con affetto e con stima: non vorrei essere al posto di Maroni in questo momento. Mi sforzo di capire anche la sua posizione, che è quella di salvaguardare la tenuta del movimento. Però, di questo passo si va all’autodistruzione». Luca Zaia, il governatore veneto, sabato ha detto con chiarezza di non essere d’accordo con le espulsioni che hanno innescato i tafferugli in cui tra l’altro è rimasto contuso l’ex segretario della Lega veneziana, Fabio Pizzolato.
Tra gli espulsi c’è chi ha contestato a Pontida. C’è chi, prima delle elezioni, ha annunciato il suo voto per altri partiti.
«Non c’è dubbio che ci siano state situazioni inaccettabili. Eppure, ci vuole equilibrio. L’applicazione dello statuto non è la soluzione di tutti i mali. Soprattutto, è difficile teorizzare un partito egemone al Nord se questo non è in grado di gestire politicamente il dissenso interno. Aggiungo che non è vero che i 35 espulsi rappresentino cadregari (appassionati di poltrone, ndr) o affini».
C’è anche chi dice di rifarsi a Bossi per fondare una lega bis.
«Ma per piacere… Qui non esiste una questione tra bossiani e maroniani. In Veneto, il fondamentalismo bossiano è rappresentabile sulle dita di una mano. Pochi casi isolati che giocano una loro partita entrando e uscendo in un dibattito che ha ben altri attori e ben altri temi. Per contro, vedo che c’è anche chi utilizza questo tema per liquidare chiunque dica qualcosa in dissenso. Ogni critica viene liquidata con un “sono quelli dei diamanti”».
Lei come valuta il crollo dei consensi leghisti alle ultime politiche?
«Noi siamo specializzati nelle elezioni del territorio. Io stesso ho portato la Lega al 35%. Certo, non si può dimenticare che noi abbiamo sostenuto con fatica e non poche critiche l’alleanza con Berlusconi in vista di un risultato complessivo in cui la vittoria in Lombardia è stata il premio. Ma c’è chi anche dalle mie parti non ha mancato quotidianamente di criticare tale alleanza. E non posso non pensare che se il centrodestra ha perso al Senato per lo 0,4% dei voti, la quota parte del Veneto in questa sconfitta sia stata significativa. Dire questo significa essere berlusconiani? Io credo significhi essere coerenti».
Credo che lei stia parlando del segretario della Liga veneta Flavio Tosi. Che viene dipinto come il suo arcinemico .
«Penso sia fisiologico che in ogni struttura organizzata ci possa anche essere un rapporto antagonistico tra i vertici. Quel che conta è il rispetto dei ruoli. Però, il presidente della Regione non è che possa restare con la paletta in mano a dirigere il traffico. Perché il partito è di Tosi ma anche delle migliaia di militanti veneti».
C’è chi dice: c’è stato un congresso. Chi non apprezza, si accomodi fuori…
«Che c’entra? Chi ha un ruolo che deve gestire il consenso day by day non può farlo soltanto attraverso provvedimenti disciplinari o espulsioni. Altrimenti rischiamo di mutuare i metodi del passato. Che però erano gestiti in un contesto storico e umano diverso. Un cavallo da trotto è un campione perché va al trotto. In una pista da galoppo è un brocco».
Resta il fatto che la situazione, nella Lega, è incandescente. Lei che soluzioni suggerisce?
«Il più possibile incruente. Quelle ispirate al buon senso e alla voglia di andare avanti. Non so, si potrebbe dare vita a una sorta di conclave in cui alcuni saggi universalmente rispettati incontrino le parti per definire il modo per appianare le questioni aperte e ripartire più forti di prima».
Marco Cremonesi – corriere.it – 15 aprile 2013