Sono arrivati separati, Luca Zaia cinque minuti prima del collega lombardo, Roberto Maroni. Ed entrambi sono stati accolti dall’affetto e dal calore dei militanti del Carroccio. «Vai Luca, vai Roberto», i cori dei militanti. Ieri, prima del voto del 22 ottobre, è arrivata la solidarietà alla Catalogna. E, insieme, le rassicurazioni agli elettori, magari più moderati della base leghista: «Noi ci muoviamo in seno all’autonomia, il nostro referendum è diverso, è riconosciuto da Roma», ha detto Zaia. Ha aggiunto, pochi istanti dopo, Maroni, «Operiamo in seno all’unità nazionale». È il primo distinguo che Veneto e Lombardia fanno con Barcellona, anche se la solidarietà con i catalani c’è tutta – «Quando il popolo vuole esprimersi va lasciato votare», ha detto il governatore lombardo tra gli applausi – ma il 22, «noi non avremo i manganelli ai seggi», ha sottolineato Zaia a rassicurare gli elettori. L’affluenza alle urne è, per entrambi, fondamentale, se i due presidenti avranno pochi voti a sostegno dell’autonomia la trattativa con Roma partirà «bolsa». Ieri, alle 20, mezz’ora prima dell’inizio del confronto, il Palacollodi ad Alte Ceccato, frazione di Montecchio nel Vicentino, era già pieno, parcheggio compreso. Subito i due presidenti «referendari» hanno riscaldato il pubblico. «Zaia è un punto di riferimento per noi – ha detto Maroni -, tratteremo insieme con Roma dal 23». Anche la Lega, come gli indipendentisti catalani, ha ricordato Maroni, ha conosciuto la repressione: «Era il 1996 quando Papalia (Guido, procuratore, ndr) fece perquisire la nostra sede, non trovando altro che volantini». Prima ancora delle ragioni per cui è importante votare il 22 e votare sì, ieri sera, i due presidenti hanno appunto voluto soffermarsi su quanto avvenuto domenica in Spagna. «Non sarà più come prima, ciò visto a Barcellona cambia tutto: la volontà del popolo va rispettata», hanno arringato.
E dopo la solidarietà, spazio al perché è necessario «portare più persone possibili alle urne il 22». Ed ecco arrivare Un lungo elenco di deleghe: scuola, sanità, ricerca ma soprattutto il residuo fiscale. «In Lombardia lasciamo 50 miliardi l’anno allo Stato, in Veneto 18: a me basta la metà che è comunque tre volte tanto di quanto lascia Barcellona, 8 miliardi a Madrid», ha spiegato Maroni che si è lasciato andare, tra gesti d’approvazione e applausi del pubblico, a qualche confronto con il sud dove «c’è più spreco e noi non vogliamo sprechi». Entrambi i governatori puntano ad ottenere tutta l’autonomia prevista dal titolo V della Costituzione. «Tutti i 23 articoli», ha detto Maroni, in piena sintonia con Zaia. Tra le deleghe che i due governatori vorrebbero regionali c’è la scuola, «per concorsi locali per insegnanti», ha spiegato Maroni. E Zaia, «A inizio anno le scuole professionali nostre funzionano alla perfezione, nelle statali si fanno le nomine e poi il docente gira l’angolo e se ne va». Altro capitolo la sanità: «La nostra è eccellente». Alla domanda del moderatore (il vicedirettore di Libero, Giuliano Zulin), sul rapporto tra Veneto e Lombardia e l’importanza del messaggio autonomista, Maroni, da buon ospite in terra altrui, ha elogiato la nostra regione, «Ammiro il Veneto, la Repubblica Serenissima arrivava fino a Bergamo e apprezzo la grande capacità imprenditoriale veneta, è un modello».
Punto di forza per Veneto e Lombardia è la lotta agli sprechi («Non vogliamo autonomia per egoismo ma perché oggi chi sperpera di più, ottiene di più – ha detto Zaia -, voglia efficienza per aiutare anche altri) per il bene di un intero paese. «Oggi (ieri, ndr) Michele Emiliano presidente della Puglia e del Pd ci dà ragione, ha detto che la pensa come noi e che la solidarietà non è mettere in difficoltà altre regioni, magari più virtuose», ha annunciato Maroni. Incassato, il plauso di Emiliano («lo inviterò in Lombardia a promuovere il voto», ha scherzato il presidente), Zaia e Maroni hanno esplicitamente spiegato di volere «i nostri soldi», che per ben tre volte hanno chiesto di votare per l’autonomia in accoppiata a altre elezioni. «Se saremo tanti a votare, a Roma non potranno più dire no», hanno concluso.
Gloria Bertasi Corriere della Sera – 3 ottobre 2017