È atteso per oggi alla Camera il voto finale sul provvedimento che introduce forme di tutela per i dipendenti, sia pubblici sia privati, che segnalano illeciti di cui sono venuti a conoscenza nell’ambito del proprio rapporto di lavoro. Un provvedimento rilevante, che rappresenta solo un primo passo ma che, come sottolineato dal presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, è indispensabile.
Il whistleblowing, la “soffiata” dei dipendenti pubblici sulle irregolarità all’interno del proprio ufficio è un istituto non ancora decollato, anche se dal 2012, quando è stato previsto dalla legge Severino, le segnalazioni sono in aumento: all’Anac nei primi 5 mesi di quest’anno ne sono arrivate 263 rispetto alle 252 dell’intero 2016. Arrivano in maggioranza (per il 75%) dalle prime linee delle pubblica amministrazione (impiegati, insegnati e personale sanitario); molte meno quelle dagli alti livelli della pubblica amministrazione, dirigenti, responsabili della prevenzione della corruzione, militari. Le attività più esposte sono gli appalti, l’attribuzione di incarichi, i concorsi pubblici, i danni erariali.
Il disegno di legge ha l’obiettivo di fare da scudo rispetto a qualsiasi misura ritorsiva che le aziende pubbliche o le imprese private dovessero prendere nei confronti del dipendente. Diverso però il meccanismo messo in campo: nel settore privato il perno dell’intervento è rappresentato dal decreto 231 del 2001 e dalle modifiche introdotte ai modelli organizzativi mentre è per certi versi più diretto il sistema nel settore pubblico. Qui, infatti, centrale è il ruolo dell’Anac (Autorità che, insieme a magistratura, è responsabile della prevenzione della corruzione) rappresenta anche la figura cui vanno indirizzate le segnalazioni del lavoratore.
Se è accertata l’adozione di misure discriminatorie da parte delle amministrazioni pubbliche, l’Anac applica al responsabile che ha adottato la misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Se viene verificato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. L’anonimato di chi effettua la segnalazione è sempre assicurato.
Invertito l’onere della prova. È a carico dell’amministrazione pubblica dimostrare che le misure di penalizzazione adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente sono nulli. Il lavoratore licenziato a causa della segnalazione è reintegrato nel posto di lavoro.
Le tutele non sono però garantite nei casi in cui è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del dipendente per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia oppure la responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave.
Nel privato, tra i requisiti che i modelli organizzativi dovranno avere sono inseriti sia canali che garantiscano la possibilità della segnalazione e la riservatezza dell’identità degli autori, sia un meccanismo sanzionatorio per colpire chi ha fatto una segnalazione pretestuosa, con dolo o colpa grave.
IL Sole 24 Ore – 15 novembre 2017