Il Mattino di Padova e il Corriere del Veneto. Dal Covid 19 alla West Nile, cambiano le modalità ma il vocabolario resta sempre lo stesso: virus, contagio, terapie intensive. E ancora una volta i camici in prima linea sono quelli dei medici di Padova. Dal 13 luglio scorso, data del primo ricovero di un soggetto punto da una zanzara Culex Pipiens infetta, ad oggi i pazienti presi in carico dall’Azienda Ospedale-Università di Padova ammontano a 71, numero in cui vengono inclusi anche i 25 dimessi e i due deceduti. La maggior parte, circa il 70%, sono uomini adulti, per lo più anziani, di età compresa tra i 17 e gli 82 anni con patologie associate, soprattutto ipertensione arteriosa, diabete mellito, coronaropatia e immunodeficienza. In questo momento i pazienti in cura per West Nile sono 14, 10 dei quali (età media 75 anni) sono ricoverati con profili d’infezione neuro invasivi nei reparti di Terapia intensiva.
GLI EFFETTI DELL’INFEZIONE “I quadri clinici dei soggetti che hanno contratto il virus in forma severa sono molto simili tra di loro” spiega la dottoressa Marina Munari, direttrice dell’Unità operativa complessa di Rianimazione dell’ospedale Sant’Antonio, “il passaggio da un evidente stato confusionale iniziale a una condizione di paralisi è molto rapido: generalmente l’evoluzione avviene in un intervallo di tempo compreso tra le due e le quarantott’ore. Purtroppo, oltre a determinare un’impossibilità di tipo motorio, questa seconda fase comporta anche gravi problemi di insufficienza respiratoria per far fronte alla quale è necessario l’immediato ricovero in Terapia intensiva. Abbiamo riscontrato però che in alcuni casi i sintomi si limitano a una forma di astenia acuta che non implica problemi di tipo respiratorio”. Una volta superata la fase critica, la terapia intensiva lascia il posto alla riabilitazione: “Si tratta di un percorso molto lungo che può durare dai sei ai nove mesi, ma che non sempre permette il totale recupero delle funzioni motorie compromettendo irreversibilmente l’autonomia del paziente” continua Munari, “in trent’anni di servizio in Rianimazione, prima di quest’anno avevo visto un solo paziente affetto da West Nile: nonostante i soggetti che manifestano sintomi gravi corrispondano al 2% del totale dei contagiati, dobbiamo considerare che si tratta di persone anziane e particolarmente fragili e che l’iter sanitario previsto è molto lungo e complesso. Per queste ragioni, coadiuvate dal fatto che ancora non sono state definite delle terapie specifiche, ma solo terapie di sostegno finalizzate al recupero della salute del paziente, nell’ultimo mese e mezzo l’impatto del virus sul nostro sistema sanitario è stato considerevole”.
LO SCENARIO PROVINCIALE In tutta la provincia il numero di casi di West Nile sale a 141, 63 dei quali con infezione neuro invasiva, 16 i pazienti ricoverati negli ospedali dell’Usl Euganea di cui 6 in terapia intensiva. Nelle scorse settimane sono stati registrati anche 21 casi di Monkeypox Virus (vaiolo delle scimmie) e tre casi di Toscana virus. “Siamo pronti ad affrontare qualsiasi emergenza” esordisce il direttore generale dell’Azienda Ospedale-Università di Padova Giuseppe Dal Ben, “dalla seconda metà di luglio il personale sanitario è impegnato in una nuova battaglia contro il West Nile. Nel frattempo, non è ancora stata scritta la parola fine sul capitolo Covid 19 e l’attività assistenziale ordinaria ovviamente continua. È necessario che, oltre alle azioni di prevenzione collettiva messe in atto dalle amministrazioni comunali, i cittadini facciano attenzione sia a proteggersi nelle fasce orarie serali (pantaloni e maniche lunghe), sia a non lasciare che si formi acqua stagnante nei giardini. Ci sono buone probabilità che la siccità e il conseguente aumento di habitat ideali alla proliferazione delle zanzare, abbiano determinato sia l’evoluzione che l’esplosione di questo virus, ma al momento le ricerche scientifiche in merito non sono ancora state ultimate”.
West Nile, la mappa del rischio. Il virus trasmesso dalle zanzare colpisce soprattutto il Padovano, il Veneziano e il Rodigino. Contagi anche tra i giovani
I contagi da West Nile hanno superato il record del 2018, quando il Veneto registrò 211 infetti (adesso sono 229) e 15 morti (ora 16). ” Il record di casi di Padova – spiegano gli esperti è legato al fatto che, oltre a essere ricca di corsi d’acqua e aree verdi non disinfestate, è con Venezia e Rovigo la provincia che attira più volatili-serbatoio”.
Difficile tenere il conto dei contagi da West Nile, nel Veneto. Continuano a crescere, al punto che è stato superato il record del 2018, quando il Veneto registrò 211 infetti (adesso sono 229), 59 dei quali colpiti dalla forma neuroinvasiva (ora sono 104), e 15 morti, a fronte degli attuali 16. La provincia più colpita d’Italia resta Padova, che conta 141 casi (gli ultimi due a Montegrotto), oltre la metà dei 230 rilevati in Italia fino al 16 agosto dall’Istituto superiore di Sanità. Rispetto al passato a contrarre l’infezione non sono più solo gli anziani ma anche persone tra 40 e 50 anni e i ragazzi. A Padova è stato curato in ospedale un diciassettenne, nel Veneziano diversi ventenni e trentenni.
“Veneto, Emilia Romagna, parte di Lombardia e Piemonte hanno più zanzare Culex del resto d’Italia e sono loro a trasmettere il West Nile – spiega il dottor Fabrizio Montarsi, responsabile del laboratorio di Parassitologia all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie (IZV) -. Però attenzione: un alto numero di contagi non dipende solo dalla concentrazione di questi insetti vettori ma anche dalla presenza di uccelli migratori, serbatoi naturali del virus. Il record di casi riscontrato a Padova è legato proprio al fatto che, oltre a essere ricca di corsi d’acqua e di aree verdi private non disinfestate, è insieme a Venezia e a Rovigo la provincia che attira più volatili-serbatoio e quindi il virus circola molto di più”. Infatti il maggior numero di pool di Culex infette, che pungono dal tramonto all’alba, è stato individuato tra Rovigo (24 pool), Venezia (21) e Padova (11). A rilevarlo lo stesso IZV, che ha posizionato 55 trappole per zanzare nel Veneto e altre 21 in Friuli Venezia Giulia, una ogni 15 chilometri, nella porzione di territorio ad alto rischio, cioè la pianura sotto i 300 metri di altezza. Risultato: le zone storicamente più interessate dal fenomeno sono la fascia costiera, il Delta del Po e i Comuni a nord di Venezia, da Jesolo a San Michele al Tagliamento. Tanti insetti-vettore anche nei Comuni polesani a ridosso del Po, come Porto Viro e Porto Tolle, Crespino, Ficarolo, Ceneselli, nella Bassa Veronese, ricca di risaie e ristagni d’acqua, per esempio a Legnago, Isola della Scala, Bovolone, Erbè. Nella provincia di Padova focolai si trovano soprattutto a Sud, quindi a Bagnoli, Albignasego, Codevigo, Anguillara, Tribano e Correzzola, invece nel Trevigiano le Culex sono poche e si concentrano al confine con Venezia, cioè a Motta di Livenza, Preganziol, Ponte di Piave, Salgareda, Silea. Rare sui Colli Euganei e Berici, sono state individuate, benché in numero ridotto, nella provincia di Vicenza, in particolare a Barbarano, Noventa Vicentina, Pojana Maggiore. Belluno ne è esente, infatti l’unico paziente in cura è un turista veneziano.
“Rischia meno chi abita in centro città rispetto a chi vive in campagna o comunque in zone molto verdi – rivela il dottor Montarsi -. Molti veneti colpiti dal West Nile risiedono in aree rurali o periurbane, che favoriscono la presenza di acqua e di conseguenza il crearsi di focolai di zanzare. Nelle zone urbane si riproducono nei tombini e nelle raccolte di acqua artificiale più le zanzare Tigre, che non trasmettono West Nile ma altri virus. Le Culex sono presenti per esempio nei canali di irrigazione dei campi. Dopodiché volano, possono percorrere oltre un chilometro, perciò non è al sicuro nemmeno chi abita in città ma non troppo lontano da campi, giardini, oasi verdi”. L’eccessiva urbanizzazione ostacola i predatori delle zanzare, per esempio i pipistrelli, che si nutrono degli esemplari adulti, e poi pesci, rettili, anfibi e invertebrati, che mangiano le larve presenti nell’acqua. “Il problema è che le zanzare si riproducono in luoghi con acqua inquinata e quindi inospitali per gli animali antagonisti, come le canalette stradali sottolineail ricercatore dello Zooprofilattico -. Abbiamo prodotto ambienti favorevoli solo a questi insetti e non ai loro predatori, alterando l’equilibrio che la natura aveva creato. In compenso il Veneto è al top in Italia per le disinfestazioni, i Comuni distruggono le larve con interventi scanditi tra aprile-maggio e settembre-ottobre. Solo in caso di emergenza sanitaria codificata dalla Regione a fronte di un’alta concentrazione di contagi in spazi e tempi ristretti si procede alla disinfestazione adulticida, però meno efficace e più dannosa per l’ambiente. Se nonostante quest’operazione la diffusione delle zanzare resta intensa, è perché i Comuni e le Usl possono intervenire solo nelle aree pubbliche ma non nei giardini e nei campi privati – avverte Montarsi – dove scorre una rete immensa di canali, sede di focolai larvali ma non trattata. Dovrebbero pensarci i proprietari. E invece la gran parte dei residenti non disinfesta le sue proprietà, giardini delle case compresi. Per contrastare il virus abbiamo bisogno del loro aiuto”.