La minaccia, per così dire, arriva da due fronti: in entrambi i casi si tratta di virus che preoccupano gli esperti, nazionali e internazionali. L’ultimo segnale in ordine di tempo è di questi giorni, ed è strettamente legato all’emergenza caldo e siccità. È il temuto ritorno in grande stile del West Nile, virus del Nilo occidentale (WNV),che nel 2022 ha contagiato 588 italiani, provoca febbre alta e può portare anche al coma.
Ma parallelamente, dall’Africa emerge una seconda preoccupazione, rappresentata da nuovi contagi provocati dal virus di Marburg, tanto da portare a battezzare il fenomeno come “nuova pandemia in arrivo”.
Il pericolo viene dalle zanzare
Già lo scorso anno, ad inizio estate, l’Italia si era accorta che dalle zanzare stava crescendo il pericolo di contagio portato dal virus del Nilo occidentale. E i dati l’hanno dimostrato: dall’inizio di giugno 2022 erano stati segnalati in Italia 588 casi confermati di infezione da West Nile Virus nell’uomo, di cui 295 si erano manifestati nella forma neuro-invasiva, mentre 194 con febbre. Il primo caso umano della stagione era stato registrato in Veneto, in provincia di Padova, nel mese di giugno. E si erano contati anche 37 decessi. Le analisi molecolari eseguite avevano identificato la circolazione del WNV Lineage 1 e Lineage 2.
Ora il pericolo sta per ripresentarsi e, favorito dalla siccità, che induce le zanzare ad avvicinarsi ancora di più all’uomo per abbeverarsi, potrebbe assumere contorni preoccupanti. In pratica, gli esperti si aspettano un aumento di casi anche rispetto allo scorso anno.
Come si manifesta il West Nile
Ma come colpisce il virus del Nilo Occidentale? Isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome), ha come principale veicolo di trasmissione gli uccelli selvatici e le punture delle zanzare (più frequentemente del tipo Culex). Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono i trapianti di organi, le trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza.
Venendo ai sintomi, quelli più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (una persona su 150), e comprendono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma.
Quindi cosa fare per non infettarsi? Il metodo preventivo più efficace consiste nell’evitare le punture di zanzara, attraverso l’utilizzo di repellenti cutanei e soggiornando quanto più possibile in ambienti protetti da zanzariere e/o provvisti di diffusori di insetticidi ad uso domestico.
Contagi favoriti dalla siccità
Parla di “imprevedibilità degli eventi” il professor Federico Gobbi, vice direttore scientifico e direttore del reparto di Malattie infettive e tropicali dell’Irccs Sacro Cuore – Don Calabria di Negrar. Che spiega: “Il West Nile Virus è favorito dal clima caldo, perché induce le zanzare ad avvicinarsi ancora di più all’uomo per bere nei corsi d’acqua. Ma non siamo in grado di dire se quello in corso sarà un anno di contagi in crescita o meno: le grosse epidemie si sono registrate nel 2008, 2021, 2023, con il Veneto in prima linea visto che ha riportato la metà dei casi europei. Parliamo di un virus imprevedibile nella sua adolescenza. Perciò, ogni anno, solo a giugno si può sapere come andrà: se troveremo le zanzare vuol dire che si tratta di un’annata prolifera, in caso contrario le vedremmo solo a fine luglio”.
Il virus di Marburg scuote l’Africa
Nel frattempo c’è un altro segnale inquietante in arrivo dall’Africa, in particolare da Guinea Equatoriale, Ghana, Camerun e Tanzania. Il virus di Marburg, con i contagi che provoca e che, per ora, si stanno moltiplicando solo in quel continente, preoccupa gli esperti e l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) in prima battuta. Tanto indurre quest’ultima da lanciare un avvertimento alle autorità locali: “Segnalateci tutti i casi di contagio nel Paese, altrimenti non saremo in grado di adottare le misure necessarie per contrastarlo”.
La novità inquietante non è l’esistenza del virus stesso, la cui prima comparsa risale all’agosto 1967, ma il fatto che si stiano verificando ulteriori e incontrollabili contagi. Infezioni che l’Oms teme siano in parte nascoste dagli stessi Paesi africani, con i morti che ne conseguono.
L’identikit del virus
La malattia da virus Marburg (Mvd), precedentemente nota come febbre emorragica di Marburg, è una grave patologia virale causata dal Marburg marburgvirus (Marv), che appartiene alla stessa famiglia del virus Ebola, le Filoviridae. Va detto però che, sebbene i virus Marburg e Ebola siano distinti, causano malattie clinicamente molto simili e con tassi di letalità che li accomunano. La Mvd, in particolare, colpisce sia gli umani che i primati.
Il tasso di letalità è intorno al 50%, ma può variare (range 24-88%) in base alla gestione terapeutica del caso e dal ceppo virale. Il trattamento precoce può infatti migliorare di molto le possibilità di sopravvivenza. Nei casi letali il decesso avviene tra gli 8 e i 16 giorni dall’esordio ed è attribuibile a disidratazione, emorragie interne e insufficienza multiorgano.
I sintomi e il decorso clinico
Passando ai sintomi, il periodo di incubazione della malattia causata dal virus di Marburg generalmente ha una durata di 5-10 giorni, ma sono anche stati osservati periodi dai 2 ai 21 giorni. L’esordio è improvviso, con sintomi e segni non specifici come febbre alta (39-40 °C), grave cefalea, brividi, malessere e dolori muscolari. Inoltre, a distanza di tre giorni possono comparire crampi e dolori addominali, nausea, vomito e diarrea che può durare anche per una settimana.
Poi, dal quinto al settimo giorno possono apparire un rash maculopapulare (malattia della pelle che si caratterizza per la comparsa sulla cute di un’area rossa e piatta coperta da piccole papule rosse, ndr) e il quadro clinico può aggravarsi con la comparsa di manifestazioni della febbre emorragica come petecchie, emorragie mucosali e gastrointestinali, e sanguinamento dai siti di prelievo venoso.
Manca un vaccino
A complicare la situazione è anche il fatto che contro il virus di Marburg manca un vaccino. Rispetto ai primi episodi di malattia, la medicina non ha fatto grandi passi avanti, proprio perché al momento non esistono vaccini o terapie antivirali approvati per il trattamento, ma solo cure di supporto, come la reidratazione con fluidi orali o endovenosi, che aiutano la sopravvivenza.
Tuttavia l’Oms sta discutendo da mesi sui potenziali candidati vaccini e dichiara che “sono in corso di valutazione una serie di possibili trattamenti, tra cui emoderivati, terapie immunitarie e terapie farmacologiche”. In attesa di novità su possibili candidati vaccini, non resta che monitorare. Per questo – sottolineano le autorità – il livello di attenzione deve rimanere alto e la profilassi risulta indispensabile.
“Diagnosi non facile”
Se parliamo dell’Africa, poi, balza all’evidenza la difficoltà di arrivare a una diagnosi certa della malattia. “Si tratta di sintomi aspecifici, quindi non è facile farla in Paesi a basso reddito – prosegue Gobbi – . L’epidemia di Marburg è molto simile a Ebola, e ora è presente in Guinea equatoriale (da dove Gobbi è appena rientrato ndr) e in Tanzania”. Però, si affretta a precisare il professore “non costituisce un grosso problema per l’Italia”. Spiegando: “Semmai è molto peggio, rispetto al Covid, per un operatore sanitario perché rischia di più. Ma quando parliamo di casi di contagio d’importazione ci riferiamo soprattutto a cooperanti e lavoratori”.
“La sorveglianza deve rimanere alta, ma non è il caso di scatenare grandi allarmi, soprattutto per l’Europa – conclude Gobbi – . Perché il contagio avviene per contatto diretto. Semmai allarmiamoci per i virus respiratori, sicuramente più in grado di diffondersi. Mi spiego: speriamo che non arrivi un SARS-CoV 3, o che il virus dell’aviaria passi dagli animali all’uomo.”
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