Gli elettori dello Stato di Washington hanno richiesto che, per il prossimo autunno, le etichette sui prodotti alimentari venduti debbano identificare, tra gli ingredienti, organismi geneticamente modificati.
L’iniziativa richiede delle etichette speciali su qualsiasi cibo crudo o trasformato, venduto a Washington come frutta e verdura, prodotti alimentari trasformati e alcuni frutti di mare come il salmone geneticamente modificato. Tra i prodotti alimentari più diffusi con ingredienti geneticamente modificati negli Stati Uniti ci sono mais, semi di soia, lo zucchero da barbabietola da zucchero e olio di semi di cotone. I sostenitori della misura hanno richiesto l’etichettatura degli alimenti OGM, presentando l’istanza con 350.000 firme, più di 100.000 al di sopra della quantità necessaria per qualificare un’iniziativa alla legislatura. Se venisse accettata, l’iniziativa verrà inviata alla legislatura nel corso della prossima sessione.
Già in passato (12 Novembre 2012) una iniziativa simile era stata promossa in California, con referendum su etichettatura OGM. Alla fine il referendum non è passato, e c’è chi ha accusato anche i colossi delle sementi di avere in qualche modo indirizzato l’esito del voto con manovre anche ben documentate: 44 milioni di dollari sono stati spesi per fare lobby sul “no”, contro gli appena 7 raccolti dai fautori del “si”.
Ma la battaglia continua. Intanto in Europa, Seralinì, l’autore francese dello studio shock sul mais Monsanto NK603 e sul glifosato- si era detto disposto a fornire ad EFSA ulteriori dati sul proprio studio solo quando EFSA avesse reso pubblici quelli usati per valutare l’NK603. Ed EFSA la settimana scorsa ha pubblicato i dati della stessa multinazionale sul proprio sito. Un braccio di ferro che continua. Ora toccherebbe proprio a Seralinì pubblicare i propri dati. Ma nel frattempo il francese avrebbe chiesto ad EFSA anche i dati originali sugli studi sul glifosato.
23 gennaio 2013