Oggi il voto in Lombardia e in Veneto per l’autonomia locale. O meglio: le due Regioni puntano con questo referendum consultivo (privo quindi di immediato esito politico) a recuperare la gestione esclusiva di quante più materie possibili tra quelle elencate nell’articolo 117 della Costituzione italiana, definite attualmente “concorrenti” perché soggette sia alle decisione dello Stato che delle istituzioni regionali.
A questo si lega la conseguente richiesta di trattenere sul territorio maggiori risorse finanziarie, derivanti dalle imposte locali: il Veneto chiede almeno 8 miliardi in più, da recuperare da quei 15,5 annuali di residuo fiscale, ovvero dalla differenza negativa tra ciò che versa e ciò che riceve da Roma; la Lombardia, con lo stesso ragionamento, ne chiede almeno 24 su 56.
In Lombardia per la prima volta verrà usato il voto elettronico, scelta che ha comportato una spesa di 14 milioni solo per l’acquisto di macchinari da usare in cabina elettorale (si arriva a 50 milioni con i costi organizzativi e di comunicazione). L’invito fatto ai Comuni è di continuare a utilizzare le voting machine anche alle prossime consultazioni elettorali. I seggi sono gli stessi di sempre, non occorrerà portare la scheda elettorale.
Il risultato del voto elettronico dovrebbe arrivare prima e con operazioni facilitate nei seggi, già dopo un’ora dalla chiusura dei seggi. Voto tradizionale invece in Veneto. Il dato definitivo per entrambi i territori potrebbe essere reso noto intorno alle 2 di notte.
Priorità export e lavoro
In Lombardia non c’è quorum da raggiungere. Il governatore Roberto Maroni ha parlato di successo qualora fosse superata l’asticella del 34%, dato medio di affluenza delle ultime consultazioni, ma verosimilmente si potrebbe parlare di un esito positivo se venisse raggiunto almeno il 40%. In Veneto c’è invece bisogno del quorum del 50%.
Qualora il risultato fosse positivo, i governatori dichiarano di avere così più forza politica per andare a trattare con il governo, ottenendo una legge da votare a maggioranza assoluta, in doppia lettura, nelle due camere del Parlamento, già nel giro di pochi mesi, auspicabilmente prima della prossima primavera e delle elezioni regionali e politiche. Il lombardo Roberto Maroni e il veneto Luca Zaia si dicono pronti ad avviare la trattativa con la presidenza del Consiglio già dalle prossime settimane.
Per la Lombardia la priorità sarebbe tornare a gestire soprattutto l’internazionalizzazione e la ricerca, già in pochi mesi. Questo perché, ricordano i vertici del Pirellone, la regione produce da sola un terzo dell’export nazionale, pari a 111 miliardi, e se lasciata libera porterebbe l’investimento in ricerca al 4,5% del Pil. Il Veneto parla invece delle priorità lavoro e politica industriale, seguendo il principio che una politica industriale nazionale non è possibile per via della differenza tra Nord e Sud.
Le motivazioni politiche
La promotrice del referendum è stata la Lega Nord, a cui si sono aggiunti subito Forza Italia e il Movimento 5 Stelle, che in questo caso ha sperimentato in modo esplicito la vicinanza con il Carroccio. Per il governatore lombardo Maroni si tratta anche di un banco di prova importante, visto che alle prossime regionali si candiderà di nuovo.
Critici i partiti più piccoli di centro. Ambivalente la posizione del centrosinistra, diviso sostanzialmente tra visione locale e nazionale. Ci sono infatti 7 sindaci di area Pd che in Lombardia si sono dichiarati sostenitori del referendum. In particolare il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che pochi giorni fa si è anche augurato che le urne siano affollate. Della stessa opinione il futuro candidato alle regionali lombarde del centrosinistra, Giorgio Gori, attualmente sindaco di Bergamo, che ha detto che andrà a votare per il sì.
La segreteria locale del Partito democratico in Lombardia ha tenuto una posizione critica, dicendo che si tratta di una consultazione inutile e dispendiosa. A livello nazionale le parole sono state più dure. Il vicesegretario Maurizio Martina ha detto che parlando di residuo fiscale «si evoca la secessione come in Catalogna».
Sara Monaci – Il Sole 24 Ore – 22 ottobre 2017