«La vera domanda è: possiamo noi cuochi fare piatti con prodotti crudi? Parrebbe proprio di no. E infatti, da quando è successo quel triste episodio, nei miei ristoranti non servo più pesce crudo e molluschi». A dirlo è lo chef stellato Marco Sacco, condannato in primo grado a due mesi e venti giorni per lesioni colpose e somministrazione di sostanze alimentari nocive insieme alla moglie Raffaella Marchetti per un episodio risalente a tre anni fa; quando, nel suo ristorante di Verbania, il Piccolo Lago, venne servito un piatto a base di vongole crude (risotto con vongole e borrragine), e contaminate dal norovirus.
«Ricorreremo certamente in appello perché, ne sono certo, non siamo noi i colpevoli: piuttosto siamo tra i danneggiati – prosegue il cuoco – e non parlo solo di me e di mia moglie, ma di tutta la categoria dei cuochi». Secondo Marco Sacco, infatti «quel giorno, come sempre, abbiamo fatto tutto rispettando le procedure: sulla confezione delle vongole, infatti, non era indicata la necessità di cottura del prodotto sul quale, peraltro, non abbiamo eseguito neppure alcuna lavorazione. Quindi – conclude lo chef – le responsabilità vanno cercate altrove, alla fonte del direi. Altrimenti più nessun locale servirà ostriche o altro pesce crudo, proprio come abbiamo deciso di fare noi, dopo questa tremenda esperienza».
La vicenda che ha interessato il noto chef piemontese riporta d’attualità il dibattito sul consumo “sicuro” di pesce, molluschi e crostacei crudi e sui rischi che questo comporta.
I possibili rischi di mangiare pesce crudo si possono ridurre con l’abbattimento alla temperatura di 20 gradi sotto zero per almeno 23 ore. Questa procedura è stata resa obbligatoria dalla normativa CE853 del 2004 (anno dell’epidemia di epatite A in Campania).
Andando ancora indietro nel tempo, e fermando le lancette al 1973, alcuni baresi ricorderanno la visita all’Ospedale “Di Venere” dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone. Il sistema sanitario nazionale, già precario, fu messo a dura prova da un’epidemia di colera che colpì le aree costiere di Puglia, Campania e Sardegna tra il 20 agosto e il 12 ottobre di quell’anno della settima pandemia di colera.
Il consumo di prodotti ittici crudi e contaminati fu sottovalutato anche dalla stampa locale, al punto che si dovette ricorrere alla distruzione di allevamenti di cozze tarantine. A Napoli e Ercolano venne vietato il commercio di molluschi, pesci e fichi, e fu disposto il sequestro delle cozze, con conseguenti rivolte di pescatori che per protesta i loro stessi prodotti ittici crudi.
In molte città furono chiusi cinema, scuole, università, e nelle località balneari vennero vietati i bagni sia nelle spiagge libere che in quelle a pagamento. Il mare era inquinato e i depuratori non erano gestiti come oggi.
I danni per l’economia furono ingenti, ma in futuro cominciò a registrarsi un drastico calo di malattie a trasmissione fecale, come il tifo e l’epatite A.
Oggi non si registrano epidemie ma le cronache raccontano di sigilli e controlli frequenti delle autorità nelle cucine di ristoranti, soprattutto di sushi all you can eat a basso costo.
Da più parti viene fatto notare che il pesce crudo, rispetto a quello cotto, contiene una maggior quantità di omega 3, poiché questo acido grasso essenziale si distrugge facilmente se esposto alle alte temperature della cottura. Non cuocere il pesce aiuta, inoltre, a mantenere integre molte vitamine che in esso sono contenute: vitamine B1, B2 e B5. Ma i vantaggi non escludono l’esposizione ai rischi.
I parassiti del pesce crudo
Il consumo di pesce crudo è collegato al rischio di sviluppare numerose patologie che rappresentano un pericolo per la salute. La parassitosi, in particolare, riguarda l’installazione di parassiti all’interno dell’organismo umano ed è causa di sintomi gastrointestinali anche gravi.
L’anisakis
Il tipo di parassitosi più diffusa tra quelle dovute al consumo di pesce crudo è la parassitosi intestinale da anisakis.
L’anisakis è un parassita che vive nelle viscere del pesce. Quando il pesce muore e i suoi tessuti deperiscono, questo organismo migra nella carne, che è quella che poi mangiamo. Dalla carne il parassita si installa nell’intestino dell’uomo e genera un’infezione. Questa infezione provoca in chi la contrae forti dolori addominali, vomito e nausea, e può arrivare a ostruire l’intestino tenue.
I rischi da consumo di molluschi
Un’altra serie di problematiche è legata al consumo di molluschi. I molluschi bivalvi, infatti, si alimentano filtrando l’acqua nella quale sono immersi. Questo comporta il trattenimento, al loro interno, di organismi e microorganismi patogeni. Mangiarli può dunque contribuire allo sviluppo di infezioni anche mortali, quali l’epatite virale, la salmonella, il colera e alcune tossinfezioni.
Come prevenire i rischi da pesce crudo
Il pesce crudo va abbattuto
La cottura ad alta temperatura è in grado di uccidere batteri e virus, protozoi, larve e amebe che possono contribuire a provocare infezioni da microorganismi e il fenomeno della parassitosi.
Nel caso del pesce crudo, per prevenire l’insorgere di questa e degli altri tipi di parassitosi, è necessario l’abbattimento del pesce che si vuole consumare crudo per un tempo minimo di 24 ore a una temperatura di almeno -20° centigradi. Questo processo è in grado di uccidere le larve e rendere l’alimento sicuro.
I molluschi devono essere a norma
I molluschi prodotti seguendo le normative vigenti, in allevamenti specifici e controllati, possono essere consumati in sicurezza. Perciò, vanno evitate quelle situazioni in cui non si conosce la provenienza del prodotto.
Come riconoscere cozze e molluschi a norma
Cozze, vongole e altri molluschi e mitili vanno acquistati in confezione chiusa controllando che siano vitali (per verificarlo basta percuotere leggermente il guscio e sentire che si ritraggono). L’involucro deve riportare la data di confezionamento, la freschezza del pesce, e deve riportare lo stato del controllo igienico. Per le vongole e i mitili è obbligatorio indicare l’impianto di depurazione e il centro di commercializzazione.
Secondo i consigli dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie, il consumo a crudo è consentito solo per i fasolari raccolti in mare a circa 3 miglia dalla costa e i frutti di mare raccolti in zone storicamente di fascia A (le zone di mare con caratteristiche microbiologiche di maggior purezza). Un dato che si può verificare anche consultando la Asl di competenza.
Attenzione al pesce venduto abusivamente
Può accadere di consumare molluschi e pesce crudo direttamente allo scoglio, appena pescati. È una pratica diffusa in alcune città marittime. I pericoli sono notevoli e spesso sottovalutati per motivi legati alla tradizione e inesistenti anticorpi che proteggerebbero i consumatori locali.
Congelare il pesce a casa
Se consumato a casa, il pesce deve essere preventivamente congelato per almeno 96 ore a una temperatura di -18° C, nel congelatore di casa contrassegnato con almeno 3 stelle.
Pesce crudi e obblighi dei ristoratori
Per quanto riguarda sushi, sashimi, carpaccio, pesce marinato e pesce crudo di vario genere, la legge prevede già che i ristoratori debbano preventivamente congelare il pesce a una temperatura inferiore a -20° per almeno 24 ore prima di somministrarlo crudo.
Come mangiare il pesce crudo
Per prevenire l’anisakis, diffusa soprattutto tra alici e sardine, bisogna togliere le viscere dal pesce prima possibile in modo da diminuire il rischio del passaggio delle larve dalla cavità viscerale ai muscoli. Assicurarsi che il pesce sia interamente congelato a -18° per almeno 96 ore (solo i congelatori industriali o quelli domestici a tre o più stelle possono raggiungere questa temperatura). Solo dopo questo trattamento si potrà consumare il pesce crudo (sushi, sashimi, carpacci, pesce affumicato a freddo, pesce marinato) o poco cotto.
Cuocere il pesce, tenendo conto che, per avere la certezza di aver ucciso le larve, l’interno del pesce, anche le parti più grosse, deve raggiungere una temperatura superiore ai 60°C per almeno 10 minuti.
Consigli prima di mangiare il sushi
Postazione dello chef ben visibile
I controlli nei ristoranti spettano alle autorità. Ma per avere un’ulteriore certezza chiediamo sempre ai ristoratori che la procedura imposta dalle normative sia stata eseguita. È buona norma anche controllare la postazione dove viene preparato il pesce crudo, che dovrebbe essere ben visibile, insieme alle condizioni della vetrinetta refrigerata in cui viene conservato il pesce utilizzato.
Come dev’essere il sushi fresco
Sushi e sashimi freschi dovrebbero essere ben sodi al tatto, freddi e non appiccicosi. Un pesce che si sfalda, gommoso e colloso non è segno di freschezza. Il colore è vivo, ma non è un segno totalmente affidabile. Comunque pesce e riso fresco hanno un aspetto più lucido.
L’odore del sushi
Il pesce fresco non è sgradevole all’odore e non puzza.
L’igiene nel ristorante
Le cappe di aspirazione devono essere a norma di legge per aspirare odori sgradevoli e far arieggiare gli ambienti. Il personale che maneggia le materie prime deve indossare grembiuli, strofinacci, cappello o fascia sulla testa per coprire i capelli.
Utensili e piani di lavoro devono essere sempre puliti e igienizzati.
Gli altri rischi del pesce crudo
Non solo anisakis. Il consumo di pesce crudo comporta altri rischi per la salute.
Intossicazione da istamina
L’intossicazione alimentare da istamina avviene principalmente tramite il consumo di pesce. Un eccesso di istamina si forma nel pesce conservato in modo inadeguato e impropriamente refrigerato. Infatti, i batteri presenti sulla cute, nelle branchie e nell’intestino, penetrano nei tessuti muscolari e cominciano a produrre istamina. A rischio sono principalmente i pesci appartenenti alla famiglia degli sgombridi, come il tonno, la palamita, la sardina, l’acciuga e lo sgombro. L’intossicazione da istamina viene denominata sindrome sgombroide.
Il norovirus e gli altri patogeni
Pesce fresco e frutti di mare (soprattutto le ostriche non certificate) consumati crudi o poco cotti, possono rappresentare un rischio causato da altri patogeni, come norovirus, virus dell’epatite A, listeria monocytogenes, campylobacter, salmonella ed escherichia coli. Il pesce affumicato può essere un rischio per listeria monocytogenes.
Fonti Il Corriere di Torino, Il Salvagente, IzsVe