Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore. Quando un lavoratore, pubblico o privato è indifferente, non è in condizioni di andare al lavoro per uno stato di malattia ha due obblighi precisi: avvisare il datore di lavoro nei tempi previsti e rimanere a disposizione per la eventuale visita medica di controllo. Questo secondo obbligo è circoscritto ad alcune ore della giornata e vale sette giorni su sette, compresi i festivi. Per i dipendenti della Sanità le fasce di reperibilità per la visita fiscale sono – o, meglio, “erano” come si vedrà – dalle 9 alle 13 e dalle 17 alle 19. Per tutti i lavoratori della aziende ed enti del S.s.n. tale obbligo è previsto dai rispettivi contratti collettivi (comparto: art.56, comma 15, del Ccnl del 2.11.2022 – dirigenza sanitaria: art. 41, comma 14, del Ccnl del 19.12.2019 – dirigenza Pta: art. 20, comma 14, del Ccnl del 17.12.2020).
È di qualche giorno fa il deposito di una sentenza del Giudice amministrativo che ha annullato il Decreto ministeriale n. 206 del 17 ottobre 2017, emesso dal ministro per Pubblica amministrazione concernente il “Regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l’individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell’articolo 55-septies, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, nella parte in cui stabilisce, per i dipendenti pubblici, fasce di reperibilità quasi doppie rispetto al settore privato. La decisione è stata adottata dal Tar Lazio, sez. IV-ter, con la sentenza n. 16305 del 3.11.2023.
A impugnare il decreto del 2017 era stato il sindacato Uil Pubblica amministrazione penitenziaria e alcuni appartenenti alla Polizia penitenziaria. All’interno della pronuncia si evidenzia una disparità di trattamento tra settore pubblico e settore privato, a parere del Collegio, del tutto ingiustificata, considerato che un evento come la malattia non può essere trattato diversamente a seconda del rapporto di lavoro intrattenuto dal personale che ne viene colpito. Le considerazioni svolte dal Giudice amministrativo hanno condotto all’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento in parte qua del provvedimento che ne costituisce l’oggetto, cioè del solo art. 3 del Dm 206/2017. Aggiunge il Tar che, stante l’effetto conformativo riconosciuto alla sentenza, nell’adozione del nuovo decreto non potrà non tenersi conto di quanto affermato nel provvedimento. L’annullamento del decreto era annunciato, anche perché all’epoca furono molti i commenti negativi rispetto a come era stata realizzata la delega della legge 124/2015.
Cosa succede ora? Proviamo a analizzare le conseguenze dell’annullamento e cosa esso comporta sul piano pratico. Innanzitutto si dovrebbe ritenere che il Governo non impugni la sentenza del Tar Lazio, per cui una volta divenuta definitiva lo scenario delle visite di controllo cambierà necessariamente. Le tre clausole contrattuali ricordate sopra citano tutte le “fasce di reperibilità previste dalle disposizioni vigenti”. Ecco dunque quale è la questione più impellente: quali sono attualmente queste “disposizioni vigenti”? Va da sé che per i 700.000 dipendenti della Sanità si pongono le stesse problematiche di tutto il pubblico impiego, ivi compreso il personale in regime di diritto pubblico. Si possono individuare due soluzioni, ovviamente nelle more della rinnovazione del decreto da parte della Funzione pubblica ovvero dell’improbabile ricorso al Consiglio di Stato. La prima è ammettere che esiste un vuoto normativo e quindi non richiedere la reperibilità; non è nemmeno possibile risalire al precedente Dm del 2009 visto che l’art. 10 del Decreto del 2017 – che abrogava il precedente – è salvo in quanto l’annullamento è in parte qua.
Non rimane, allora, che applicare per analogia (e coerenza con la decisione del Tar) le fasce prescritte per i lavoratori privati. Si tratta, in buona sostanza, di applicare il richiamato strumento analogico mediante una interpretazione costituzionalmente orientata proprio alla luce dei rilievi del Giudice amministrativo. È di tutta evidenza che quella appena segnalata è una operazione manipolativa ma l’altra – non prevedere alcuna fascia o, del tutto, l’obbligo della reperibilità – sarebbe del tutto irreale. Ma chi è che, sul piano operativo, deve adottare comportamenti e decisioni in merito ? Iniziamo dalle aziende datrici di lavoro le quali, credo, non debbano fare nulla se non una generica informativa ai dipendenti e ai soggetti sindacali.
Chi invece deve assumere decisioni concrete è l’Inps in quanto la titolarità delle visite di controllo è dell’Istituto indistintamente per tutti i lavoratori, fin dal luglio 2017 quando venne istituito il “Polo unico per le visite fiscali” di cui all’art. 18 del Dlgs 75/2017. Proviamo a fare un esempio. Se domani mattina la sede Inps competente invia un medico fiscale al domicilio di un dipendente della Sanità alle 15 commette una illegittimità e, oltretutto, vanifica lo strumento di controllo, innestando un possibile contenzioso con l’interessato. Ricordo che l’assenza nelle fasce di reperibilità comporta per il lavoratore conseguenze piuttosto onerose: la mancata retribuzione per le giornate di assenza e l’eventuale apertura di un procedimento disciplinare. Anche per scongiurare casi di contenzioso è del tutto inopportuno che il medico fiscale si presenti alle 9 di mattina o alle 16. Per cui è ragionevole che l’Inps in via cautelare adotti la medesima metodologia in atto per i lavoratori privati. Un contatto informale tra gli uffici dell’azienda sanitaria e la sede provinciale dell’Inps sarebbe in ogni caso opportuno per condividere questa soluzione.
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