Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore sanità. La legge 113/2020 sulla sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni è entrata in vigore quindici mesi fa ma, oggettivamente, i suoi effetti concreti non si vedono. Rispetto agli interventi previsti, non è stato ancora istituito l’Osservatorio nazionale di cui all’art. 2 e non è stata nemmeno individuata la “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio¬sanitari” per la quale è stata proposta la data del 10 ottobre, giorno del famigerato assalto al Pronto soccorso del Policlinico Umberto I di Roma. Ma, soprattutto, non sembra che siano diminuiti gli episodi di violenza e che l’inasprimento delle pene e la procedibilità d’ufficio siano in qualche modo serviti a qualcosa.
Secondo dati accreditati, ogni anno in Italia si contano 1.200 atti di aggressione ai danni dei lavoratori della sanità. Nel 70 % dei casi le vittime delle aggressioni sono donne e, ancor più grave, è il fatto che tra il personale sanitario quasi un infortunio su 10 è conseguente ad una aggressione.
Su tale stato di cose si può peraltro intervenire con fatti concreti che potrebbero andare oltre alla rituale esecrazione e condanna degli episodi. A mio parere si può agire su due piani: a livello contrattuale, applicando norme che esistono e scrivendone di nuove nei prossimi contratti; a livello legislativo, con integrazioni mirate alla legge 113/2020.
Quando finalmente sarà attivo l’Osservatorio – ma nulla impedisce che venga fatto fin da ora in altre sedi – si tratterà di effettuare un serio monitoraggio sugli episodi di violenza, ma non con una semplice elencazione statistica bensì con la rilevazione delle circostanze specifiche, cioè se sono sempre state inoltrate le denunce/segnalazioni, se sono stati aperti i fascicoli presso le rispettive Procure e se c’è stata costituzione di parte civile da parte dei soggetti interessati. E a quest’ultimo proposito, sarebbe anche auspicabile che i prossimi contratti collettivi del comparto e dell’Area Sanità contenessero una prescrizione – se non nell’articolato, quanto meno tra le dichiarazioni congiunte – sulla obbligatorietà della segnalazione alla Procura da parte dell’Azienda sanitaria e sulla necessità della costituzione di parte civile a tutela dei propri dipendenti aggrediti ma anche dell’evidente interesse aziendale. Prendiamo ad esempio il caso del Policlinico di Roma. La stampa ha riferito che un’infermiera è stata colpita con una bottigliata in testa durante l’assalto, e lo stesso assessore del Lazio D’Amato ha precisato che è stata «colpita durante la colluttazione e poi refertata con alcuni giorni». Questo è un aspetto sul quale si è del tutto sorvolato, quello cioè di privare la struttura pubblica di risorse umane indispensabili per un periodo di tempo che potrebbe anche essere ben più lungo di pochi giorni; ma qualcosa in tal senso si può fare. Infatti nei vigenti contratti collettivi è contenuta una chiara e inequivocabile clausola in tal senso: “Nel caso in cui l’infermità sia riconducibile alla responsabilità di un terzo, il risarcimento del danno da mancato guadagno effettivamente pagato dal terzo responsabile al dipendente è versato da quest’ultimo all’Azienda o Ente fino a concorrenza di quanto dalla stessa erogato durante il periodo di assenza, ai sensi del comma 10 compresi gli oneri riflessi inerenti. La presente disposizione non pregiudica l’esercizio, da parte dell’Azienda o Ente, di eventuali azioni dirette nei confronti del terzo responsabile” (art. 42, comma 16 del Ccnl del 21.5.2018 e art. 41, comma 16 del Ccnl del 19.12.2019). Sempre in riferimento ai Ccnl vigenti, segnalo una singolare diversificazione dei due contratti del comparto e dell’Area Sanità. In quello del 2019, relativo alla dirigenza sanitaria, è contenuta la dichiarazione congiunta n. 12 che costituisce un vero e proprio appello al Parlamento per l’approvazione del Ddl sulla “Sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie” (A.S. 867, Grillo), all’epoca ancora giacente in aula. A prescindere dall’auspicio delle parti negoziali e dalla successiva, avvenuta approvazione della legge, le attenzioni aziendali dovrebbero comunque essere puntuali ed incisive perché il datore di lavoro ha la responsabilità oggettiva di queste violenze ed è soggetta all’inversione dell’onere della prova. Da parte sua, la Corte di Cassazione, sez. lavoro, con la sentenza n. 14566 del 17.6.2017 ha chiaramente affermato che ai sensi dell’art. 2087 c.c è onere dell’azienda ospedaliera provare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento di aggressione ad un infermiere al Pronto soccorso. Il contratto del 2019 sulla materia ha previsto un solo intervento specifico nell’art. 72, alla fine del comma 4, laddove si stabilisce che gli importi delle multe (ex sanzioni pecuniarie) non sono più utilizzate per interventi di rischio clinico bensì per “attività relative alla sicurezza del personale sanitario”, in conformità a quanto espresso nella dichiarazione congiunta n. 12. Per completezza si segnala che nel Ccnl del comparto gli introiti delle multe sono finalizzati ad “attività sociali a favore dei dipendenti” mentre in quello della dirigenza Pta appare abbastanza coerente che gli importi siano introitati nel bilancio dell’azienda. Per la tornata contrattuale in corso il Comitato di Settore dovrebbe dare all’Aran uno specifico indirizzo riguardo alla destinazione di tutti gli importi – compresi quelli della dirigenza Pta – alla sicurezza e, inoltre, si potrebbe fare una spregiudicata forzatura e cumulare alle multe anche le mancate retribuzioni derivanti dalle sospensioni dal servizio. Non saranno certamente queste risorse a risolvere la questione del sottofinanziamento ma sarebbe comunque una previsione di forte valore simbolico.
Tornando al monitoraggio, provo dunque a riepilogare i dati da raccogliere e studiare per capire meglio il fenomeno e la sua evoluzione :
-la avvenuta stipula degli specifici protocolli operativi con le forze di polizia (art. 7 della legge);
-i casi in cui i protocolli sono stati attivati e gli esiti;
-i casi in cui ad episodi di violenza è seguita la segnalazione formale all’autorità giudiziaria;
-i casi in cui l’azienda sanitaria si è costituita parte civile;
-i casi in cui l’azienda datrice di lavoro ha azionato il risarcimento per i giorni di assenza per malattia o infortunio del personale aggredito.
Tuttavia, come si diceva, sembra davvero che i contenuti della legge 113/2020 non siano sufficienti e gli episodi recenti potrebbero suggerire una sua integrazione. Solo per il tempestivo intervento delle Forze dell’ordine è stata sventata lo scorso 14 dicembre l’occupazione della Direzione sanitaria dell’ospedale di Pordenone e chissà cosa sarebbe potuto succedere qualora il centinaio di assalitori fosse riuscito nell’impresa. Quello che infatti manca completamente nella legge – e l’episodio della settimana scorsa lo ha evidenziato drammaticamente – è la repressione degli attacchi alla struttura sanitaria in quanto tale perché le norme della legge 113 si riferiscono sempre alle persone fisiche e mai alle istituzioni. Gli assalti premeditati e devastanti ai Pronto soccorso – a Napoli negli anni scorsi se ne sono contati a decine -, la tentata occupazione di una Direzione sanitaria ospedaliera, qualsiasi danno cagionato ad un bene aziendale costituiscono una aggressione diretta allo Stato e allo stesso principio costituzionale di tutela della salute e dovrebbero trovare una forma di repressione specifica. Esemplare in tal senso quello che è accaduto nel giugno scorso al Cardarelli di Napoli – ripreso dal sito della Questura di Napoli – dove i poliziotti, giunti sul posto, hanno trovato diverse persone che stavano dando in escandescenze e hanno bloccato uno di essi che aveva appena infranto uno dei vetri della porta di ingresso del Pronto soccorso. Il soggetto è stato denunciato per danneggiamento aggravato, cioè un reato “normale” che non tiene in alcun conto il particolarissimo bene che è stato oggetto di violenza. L’art. 635 del codice penale – sostanzialmente depenalizzato – è ricompreso tra i “delitti contro il patrimonio” mentre gli episodi di violenza contro beni mobili e immobili del S.s.n. dovrebbero essere considerati contro la “incolumità pubblica” di cui al Titolo VI oltre, ovviamente, procedere sempre per “interruzione di pubblico servizio” ex art. 340 e, forse, in talune circostanze per “violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti” ex art. 339, sempre con l’aggravante sancita dell’articolo successivo. In quello e in tanti casi analoghi non sono i “vetri della porta” o le “barelle divelte” ad essere stati danneggiati perché l’aggressione va intesa allo stesso Servizio sanitario che è un bene comune e fondamentale di tutti gli individui. Fogli di via e denunce a piede libero per reati comuni non bastano più.