Indagine della Finanza su una cantina di Veronella, testimonia il consulente. La quantità di sostanze nocive era irrilevante. Il processo prosegue
È stato l´esperto dell´Istituto di certificazione di qualità di Conegliano Veneto a sgretolare l´ipotesi d´accusa che aveva portato all´arresto di Bruno Castagna. Arresto che avvenne sulla base di un accertamento effettuato dal Corpo Forestale dello Stato nella sua azienda di Cologna Veneta avvenuto il 7 settembre 2007.
In quell´occasione gli agenti rinvenirono 810 ettolitri di vino rosso e 860 ettolitri di vino bianco che, pronti per essere immessi sul mercato, stando all´accusa erano stati alterati e sofisticati con zucchero, acido cloridrico e acido solforico. E l´imputazione per Castagna fu quella prevista dall´articolo 440 del codice penale, ovvero la sofisticazione alimentare con possibilità di danno per la salute pubblica.
Ieri, nel corso del processo celebrato davanti al collegio presieduto da Marzio Bruno Guidorizzi l´esperto incaricato di esaminare i campioni prelevati in azienda ha ribadito che l´acido solforico era in realtà al di sotto dei limiti previsti dalla legge e che quella minima quantità non era potenzialmente pericolosa per la salute umana.
Un´affermazione che conferma quanto Castagna, difeso dall´avvocato Francesco Delaini, ha sempre sostenuto. E cioè che in effetti un sacchetto di zucchero di barbabietola da 47 chili era nel sottoscale ed altri tre invece in un´altra zona della cantina ma ribadì che si trattava di zucchero per uso domestico. Ammise anche che vi erano due latte di acidi che però utilizzava solo per pulire le vasche e per ripulire gli scarichi, «di certo non le usavo per il vino». Ieri, al termine della deposizione del consulente, il tribunale ha proposto all´imputato di avvalersi di un rito alternativo ma Castagna ha preferito proseguire il dibattimento. E in febbraio saranno sentiti altri testimoni. L´imprenditore ai domiciliari rimase sei mesi perchè la procura sospettò che il suo prodotto potesse essere rivenduto ad aziende coinvolte nella cosiddetta «Velenitaly» (l´indagine che scoppiò nel 2008 ed era riferita alle adulterazioni dei vini) ma da quella vicenda lui rimase totalmente estraneo. Restò il sospetto, la presenza dell´acido, e questa ipotizzata pericolosità spinse Legambiente (difesa Tirapelle) e Slow Food (difesa La Macchia) a costituirsi parte civile.
L’Arena – 1 ottobre 2012