Suino, ovino o caprino che sia, l’allevatore veneto – purché casalingo e dedito all’autoconsumo – potrà macellarsi gli animali in casa. Il ministero della Sanità – sollecitato dalla Regione Veneto – ha dato il suo parere interpretando e aggiornando il decreto che Sua Maestà Vittorio Emanuele III firmò nel 1928 con l’intento di tutelare la salute dei sudditi.
A 86 anni di distanza quel decreto ha prodotto più dissapori che profilassi: la Coldiretti, molti sindaci della pedemontana, tutti gli amanti della tradizione, compresi i cultori di Mario Rigoni Stern che della morte del maiale aveva scritto pagine indimenticabili, si erano sollevati come un sol uomo contro la circolare del mese scorso con cui il dirigente della Usl 4 di Schio, Fabrizio De Stefani, intendeva dissuadere la macellazione casalinga riportando allo spirito e alla lettera il regio decreto del ‘28: macellazione fai da te sì ma solo in casi eccezionali, in presenza di un veterinario e dietro motivata richiesta al sindaco.
Gli anni sono passati, i mattatoi comunali si sono estinti e anche il maiale non lo alleva più nessuno, eppure il sangue del porco eccita ancora gli animi. Vietandone l’uccisione in casa si uccide la tradizione – s’è detto – si condanna all’inedia l’omonima sagra di Valli del Pasubio per non dire del lavoro dei norcini e di quel che potrebbe dire Cracco lo chef. Il ministero della Sanità con una circolare l’altro ieri ha sedato e sopito. L’eccezione sarà regola. I sindaci possono autorizzare, fino a due-quattro uccisioni per famiglia, il veterinario deve essere avvertito 24 ore prima, deve essere presente prima l’ammazzamento e dopo l’ammazzamento, il tutto nel rispetto della bestia che non ha da soffrire troppo. Dopo di che si può mangiarla, ma solo in famiglia. Nel 2014 in tutto il Veneto sono stati uccisi privatamente circa 12 mila maiali (contro i 40 mila degli anni scorsi), l’autorità veterinaria regionale fa notare che pur con i numeri in calo è un anacronismo comandare visite a domicilio per soddisfare il capriccio culinario di una attempata platea di buongustai. Ricordando che l’obbligatorietà per la bestia non si applica nemmeno per i cristiani, nessun sindaco infatti può esigere l’invio a domicilio di un otorinolaringoiatra per chi soffre di tonsillite, mentre può legittimamente chiedere un veterinario per il contadino che la lingua del maiale se la vuole solo mangiare.
La moderna prevenzione veterinaria vorrebbe che come ci sono gli ospedali per gli umani ci siano anche i mattatoi per gli animali. Un norcino professionale o massolino che dir si voglia, incassa fino a 150 euro per ammazzare e lavorare un maiale, un mattatoio ne chiede 40-50. Vista la riluttanza delle Usl a servire le esigenze di privatissimi palati, nel Trevigiano si è pensato bene di istituire corsi professionali per norcini ai quali viene dopo conferita una speciale autorità ispettiva, una sorta di potere sostitutivo del veterinario. Vista e piaciuta la bestia, il controllato si controlla e procede col solo obbligo di una chiamata al veterinario se il porco porta i segni di patologie o malformazioni evidenti. Attorno al maiale si muovono gli antichi spiriti della tradizione e qualche piccolo interesse economico. Il ministero della Sanità ha deciso di non far torto agli uni e agli altri Con un’avvertenza: da oggi, anche il mullah dietro casa potrà chiedere l’ammazzamento come si deve. La legge riguarda infatti i suini, gli ovini e i caprini, in qualche modo è biblica e l’Alta Corte dell’Aja non ammette eccezioni.
Emilio Randon – Corriere del Veneto – 12 dicembre 2014