Una riduzione strutturale del cuneo fiscale è l’altra faccia dell’intervento sul mercato del lavoro a cui pensa il governo Conte. L’operazione, risorse permettendo, dovrebbe concretizzarsi, in autunno, con la legge di Bilancio, ma non è escluso che qualche primo intervento possa essere introdotto già in sede di conversione parlamentare del decreto estivo, che oggi, salvo ulteriori rinvii, è atteso in Gazzetta ufficiale, dopo essere stato firmato dal Capo dello?Stato (l’esame partirà poi dalla Camera).
Al momento le ipotesi un po’ più gettonate sono due e non necessariamente alternative tra di loro. La prima, ripetuta, da giorni, dal titolare del dicastero di via Veneto, Luigi Di Maio, è quella di un taglio selettivo del costo del lavoro, a partire da due settori innovativi e strategici, made in Italy e imprese digitali. Il dossier, da quanto si apprende, è in fase di approfondimento tecnico, sia per quanto riguarda l’eventuale compatibilità con la normativa Ue sia sul capitolo costi (immaginando, infatti, un intervento per favorire i nuovi contratti stabili in questi settori, ogni punto contributivo in meno, come noto, costa a regime intorno ai 2,5 miliardi di euro). Anche per questo, l’opzione dovrà essere valutata in sede di manovra 2019.
La seconda ipotesi farebbe, invece, leva sull’eventuale introduzione nel decreto, in accordo con le Camere, di un incentivo, più o meno automatico, sulle stabilizzazioni di contratti a tempo determinato, considerata l’imminente stretta su questa tipologia negoziale in arrivo con il testo.
Anche qui l’aspetto dei costi, e delle relative coperture, non è una variabile secondaria. L’intenzione della maggioranza “giallo-verde” sarebbe, tuttavia, quella di agevolare l’uscita dal precariato, riconoscendo, al tempo stesso, uno sgravio monetario all’impresa che scommette stabilmente sulla risorsa. La tentazione, su questa seconda ipotesi, è quella di sondare il Parlamento, durante l’esame del decreto estivo, per valutare la fattibilità (almeno politica) dell’intervento.
Del resto, le prime reazioni non sono affatto di chiusura. Laura Castelli (M5s), ora sottosegretario all’Economia ma in attesa di essere nominata viceministro dal titolare di Via XX Settembre, Giovanni Tria, ricorda che «il taglio del cuneo fiscale, questa volta, non potrà prescindere, come è accaduto in passato con il Governo Renzi, da una riduzione del carico contributivo versato dalle imprese all’Inail». E si farà, per sgombrare il campo da ogni equivoco, «con la prossima legge di Bilancio». Sulla possibilità, poi, di abbattere il costo del lavoro in modo selettivo la Castelli aggiunge che si «tratterà di scegliere quali settori delle attività produttive sostenere maggiormente in termini di crescita», anche se la via maestra per la viceministra resta quella della riduzione delle tasse: «Questo ci chiedono le imprese».
D’accordo anche Armando Siri (Lega), sottosegretario alle Infrastrutture: «Il lavoro è al centro del patto di governo; e il taglio al cuneo è certamente una priorità».
Per la neopresidente della commissione Finanze della Camera, Carla Ruocco (M5S), l’intervento si rende imprescindibile in quanto «il taglio del cuneo fiscale sui contratti a tempo indeterminato va a completare la manovra di contrasto al precariato, aiutando l’economia dal fronte delle aziende, per due motivi: aumento della competitività e incremento della domanda interna».
Corretta, almeno secondo Daniele Pesco presidente della commissione Bilancio del Senato, la volontà di un taglio selettivo: «Partire dalle imprese digitali, spiega Pesco, vuol dire restare al passo degli altri Paesi e consentire al sistema produttivo di non restare indietro». Mentre sulla riduzione mirata al made in Italy, il presidente della Bilancio di Palazzo Madama precisa che «occorre sostenere senza se e senza ma le nostre imprese, facendo però attenzione ai limiti che impone Bruxelles sugli aiuti di Stato».
Passando al decreto estivo, tre sono i temi su cui si accenderà un faro in Parlamento. Le causali, su cui una fetta della maggioranza chiede un ammorbidimento. La somministrazione, per evitare di paralizzare le attività delle agenzie per il lavoro visto che il giro di vite contenuto nel provvedimento si applica (forse, un’altra svista?) al rapporto tra agenzia e lavoratore, e non al contratto commerciale stipulato con l’impresa utilizzatrice. E terzo, il periodo transitorio, considerato che la nuova normativa vale anche per i contratti in corso, seppur limitatamente a proroghe e rinnovi. Qui, in particolare, il governo apre a una riflessione, e si dice disposto a trovare una soluzione in Parlamento per posticipare (si ragiona su settembre) l’entrata in vigore delle nuove disposizioni.