A fronte di carenze e turni massacranti, i nostri operatori sanitari continuano ad essere tra quelli meno pagati in Europa. Per questo l’urgenza dovrebbe essere quella di tornare ad investire su di loro. Tutto questo senza dimenticare una lotta a quelle diseguaglianze territoriali che sono andate ad acuirsi nel post pandemia e puntando su un reale rilancio della medicina territoriale. Poi la vicepresidente del Senato annuncia: “A breve presenteremo una proposta di legge per far sì che non si possa più scendere al di sotto della soglia del 7% del Pil per la spesa sanitaria”
Il Covid non ci ha insegnato nulla. Sulla sanità si continua ad investire in modo insufficiente e a farne le spese sono sia quei cittadini che si trovano ad affrontare problemi di accesso alle cure e diseguaglianze territoriali sempre più marcate che quegli operatori sanitari che, con il loro sacrificio, stanno ancora tenendo in piedi il Ssn. Per questo la priorità per la prossima manovra dovrebbe essere quella di tornare ad investire su di loro, dal momento che a fronte di carenze e turni massacranti, continuano ad essere tra quelli meno pagati in Europa.
Ne è convinta la vicepresidente del Senato, Mariolina Castellone (M5S), che in questa intervista a Quotidiano Sanità lancia anche un allarme sulla medicina territoriale e sul rischio di perdere alcuni finanziamenti del Pnrr.
Senatrice Castellone, su QS abbiamo analizzato i più recenti dati Ocse, ne emerge un Ssn che nonostante un forte sottofinanziamento riesce a fare ancora miracoli in termini di esiti. Si evidenziano però criticità su personale e accesso ai servizi. Cosa ne pensa?
I dati Ocse certificano in maniera plastica come il nostro Servizio sanitario nazionale abbia retto l’urto dell’emergenza Covid solo grazie alla resilienza e al sacrificio del personale sanitario. Questo deve essere ben chiaro a tutti. Abbiamo affrontato uno tsunami venendo da dieci anni di tagli: 37 miliardi di euro sottratti al Fondo sanitario nazionale; 71 mila posti letto persi con la promessa mai realizzata di rafforzare il territorio, e infatti quando è scoppiata la pandemia abbiamo scoperto di avere solo 5 mila posti letto in terapia intensiva; circa 50 mila medici e infermieri già nel decennio pre pandemia avevano abbandonato il servizio sanitario pubblico per andare a lavorare nel privato. A fronte di tutto questo, i nostri operatori sanitari hanno fatto e continuano a fare miracoli. Ecco perché riconoscere il loro impegno ed Investire su di loro dovrebbe essere la vera priorità nella prossima legge di Bilancio. Ricordiamo che i nostri operatori sanitari, medici, infermieri sono tra i meno pagati d’Europa, con contratti collettivi nazionali ormai vecchi e per lo più sono sottoposti a turni di lavoro massacranti causati sia dal blocco delle assunzioni che ancora vige in sanità sia da difficoltà strutturali-organizzative esistenti in diversi ospedali.
Da quel che si diceva fino a qualche tempo fa, il Covid avrebbe dovuto farci capire l’importanza degli investimenti in sanità.
È vero, ma in realtà stiamo spendendo poco in sanità anche dopo la pandemia. Con il Governo Conte avevamo portato la spesa sanitaria in rapporto al Pil al 7,4% nel 2020, stabilizzandola sopra il 7% nell’anno successivo. Si sarebbe dovuto difendere questo salto in ogni modo possibile. Invece quella lezione non l’abbiamo imparata visto che l’attuale Governo prevede di investire in spesa sanitaria su Pil addirittura meno di quello che si spendeva nel 2019 prima della pandemia, ossia il 6,2% contro 6,4% del periodo pre Covid. A tal proposito stiamo lavorando ad un progetto.
Di cosa si tratta?
Stiamo per presentare al Senato una proposta di legge che punta a far sì che non si possa più scendere al di sotto della soglia del 7% del Pil per la spesa sanitaria.
Intanto però abbiamo una spesa out of pocket superiore alla media Ue. La privatizzazione del Ssn forse non è più solo strisciante.
La privatizzazione non è strisciante ma è più che palese; già da tempo chi non può pagare nel privato aspetta liste d’attesa lunghissime a causa della carenza di personale. Abbiamo stanziato molte risorse in questi anni per ridurre il fenomeno delle liste d’attesa acuitosi durante l’emergenza pandemica, ma gran parte dei fondi sono rimasti inutilizzati perché manca il personale sanitario. Chi dovrebbe smaltire queste liste d’attesa? gli stessi operatori sottopagati e soggetti a turni di lavoro massacranti? Senza decisi interventi strutturali lo spostamento verso il privato sarà sempre più spinto e ci saranno diseguaglianze sempre più marcate tra chi potrà permettersi di pagare le proprie cure e chi no. Ricordiamo che a volte l’attesa può fare la differenza tra la vita è la morte. Tra poter curare una malattia o l’arrivare troppo tardi ad una diagnosi. Anche le disuguaglianze territoriali sono ancora più marcate nel post Covid.
E, a tal proposito, pensa che l’autonomia differenziata possa essere la soluzione al problema?
Assolutamente no. Si approfondirà ulteriormente il gap di prestazioni e accesso alle cure già esistente tra i diversi territori. Al punto che viene da chiedersi quale sia la reale volontà di questo governo, quella di unire un Paese lacerato o quella di accentuare ulteriormente le differenze regionali?
Al ministero della Salute si sta esaminando la possibilità di offrire solo a pagamento il vaccino Covid a quelle persone per le quali non è raccomandata la sua somministrazione, lei cosa ne pensa?
Non credo siamo in una fase di tranquillità tale da trattare il Covid come una banale influenza. Non sappiamo ancora la protezione vaccinale che efficacia avrà rispetto alle nuove varianti circolanti né quanto durerà la protezione vaccinale che abbiamo sviluppato. Io andrei molto cauta sull’ipotesi di rendere il vaccino a pagamento. Punterei piuttosto a coinvolgere maggiormente i medici di medicina generale che potrebbero ricoprire un ruolo fondamentale anche nella campagna vaccinale.
A proposito di territorio, diversi esponenti del governo, da Fitto a Gemmato, hanno messo in dubbio l’utilità delle case della comunità. Non si rischia così di perdere quei finanziamenti previsti dal Pnrr?
Mettere in dubbio la validità del progetto di riforma della medicina territoriale e delle case di comunità ci preoccupa perché senza un filtro sul territorio i pronto soccorso continueranno ad essere presi d’assalto e continueremo a non avere la possibilità di intercettare i bisogni di salute dei cittadini. In pandemia abbiamo avuto la dimostrazione di come la nostra medicina territoriale vada riorganizzata. Molte persone durante l’emergenza si sono sentite abbandonate e sono state del tutto impossibilitate ad accedere agli studi dei medici di medicina generale. Si deve mettere in campo una vera e propria rete di cure primarie e non serve che le case di Comunità si trasformino in poliambulatori ma serve invece che diventino, come previsto in origine nel Pnrr, dei luoghi di cura che fanno filtro agli ospedali, attivi h24. Mettere in rete la medicina generale, integrarla al meglio nelle case comunità e le farmacie del territorio che devono diventare luoghi di servizio, credo possa essere l’idea vincente. Nel Pnrr sono stati previsti 7 miliardi per telemedicina, ospedali e case di comunità. Ma l’attuale Governo, nel decidere un definanziamento del Piano da 16 miliardi, è andato a colpire anche la sanità territoriale.
Giovanni Rodriquez – Quotidiano sanità