Tutto sospeso in attesa di un accordo che dovrebbe arrivare ma ancora non c’è. A Roma la commissione Bilancio ieri non si è riunita visto che non c’è un testo con le novità da esaminare; di conseguenza l’invio della legge di Bilancio all’aula del Senato slitterà verso gli ultimi giorni della settimana. A Bruxelles gli sherpa non hanno ancora definito l’ordine del giorno della riunione della commissione europea nella quale – domani – potrebbe di fatto essere avviata la procedura per debito eccessivo nei confronti del nostro Paese. Riunione che in un’ipotesi estrema potrebbe essere essa stessa aggiornata.
La trattativa tecnica è serrata e non mancano schermaglie politiche: il vicepremier Matteo Salvini, riferendosi alla situazione francese, si è augurata che «a Bruxelles ci sia buonsenso e non figli e figliastri». Quella di ieri non è stata una semplice giornata in cui i tecnici di Bruxelles e quelli del Tesoro hanno continuano a sentirsi e discutere per limare qui e lì gli ultimi dettagli sulla base dell’ultimo documento inviato dal Tesoro con cifre, misure e valutazioni di impatto. È stata una giornata nella quale dopo ore e ore di analisi e confronti, si è capito in serata che le posizioni restano ancora distanti. Tutto verte su un punto che per Bruxelles è dirimente e che il governo, invece, ha sempre cercato di mascherare pubblicamente: il taglio del deficit/Pil in termini strutturali. Il problema è semplice: solo assicurando anche un minimo aggiustamento del bilancio in termini strutturali, cioè al netto delle misure una tantum e degli effetti del ciclo economico, l’Italia non sarà bocciata con una procedura che porterebbe a un mezzo commissariamento della politica di bilancio. In coerenza con il quadro del deficit strutturale, è in discussione anche la stima/obiettivo di crescita del Pil, (all1,5% nel 2019) ritenuta non realistica dalla Ue, che però il governo non è disposto a rivedere. Originariamente all’Italia è stato chiesto di assicurare un miglioramento del deficit/pil strutturale dello 0,6% (10,8 miliardi), invece con la manovra il deficit strutturale peggiora dell’1,2%. Per cavarsela, ora basterebbe una riduzione soft, probabilmente nell’ordine dello 0,1%: il minimo sindacale per mostrare che l’Italia rispetta le regole del patto di stabilità. Tuttavia il documento italiano non viene ritenuto ancora sufficiente.
IL COLLEGIO
C’è ancora tempo una giornata: domani si terrà l’ultima riunione della commissione europea del 2018, dopodiché la pratica passa a gennaio. Ieri si sono riuniti i capi di gabinetto dei commissari che, su loro istruzione, preparano le riunioni del collegio europeo, e il caso Italia ha tenuto banco. La discussione sull’Italia è stata approfondita e combattuta. È stato deciso di non inserire all’ordine del giorno della Commissione l’avvio della procedura, il che però non esclude che ciò possa essere deciso oggi o anche un momento prima della riunione. La spada di Damocle della procedura non è stata riposta. Ne è consapevole Giovanni Tria, che nella serata di ieri ha annullato i suoi impegni per tornare a Palazzo Chigi per riferire al presidente del Consiglio. I tempi sono stretti anche in Italia, visto che la legge di bilancio dovrà poi tornare alla Camera per l’ultimo passaggio e di solito il Parlamento non lavora tra Natale e Capodanno.
Proprio in queste ore, Sergio Mattarella rilancia la prassi e il modello del multilateralismo alla base dell’Unione europea e il metodo «del confronto e del dialogo per raggiungere un compromesso». Il capo dello Stato, in occasione della cerimonia di auguri al corpo diplomatico, critica di fatto il sovranismo (senza mai citarlo) e le varie coalizioni di Stati, come Visegrad e la lega Anseatica guidata dalla Olanda in vista delle elezioni europee: «Un vuoto politico che paralizzasse in questo momento il vecchio continente e gli impedisse di svolgere un utile ruolo nelle relazioni internazionali, siano politiche, economico-finanziarie, commerciali, creerebbe un forte squilibrio, mettendo a repentaglio l’orizzonte di progresso dell’intero pianeta». Ancora: «L’architettura istituzionale e funzionale dell’Unione necessita certamente di completamenti, miglioramenti e adattamenti e di questo processo l’Italia intende continuare a essere protagonista. L’importante è che a prevalere non siano cartelli di blocco uniti soltanto da atteggiamenti ostruzionistici, della cui azione l’unico risultato diverrebbe la paralisi».
Spuntano tagli agli statali A rischio l’assunzione di 1.300 agenti di polizia
Dopo estenuanti vertici di maggioranza, ieri, Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno dato il loro assenso per tagliare le risorse alle loro misure di bandiera: la dotazione del reddito di cittadinanza passa – al netto del miliardo di euro destinato alla riqualificazione dei centri per l’impiego – da 9 miliardi a 7,1 miliardi di euro. Le risorse per Quota cento scendono da 6,7 miliardi a 4,7 miliardi di euro.
Sul primo versante il risparmio sarà legato sia allo slittamento dell’avvio del sussidio (ad aprile) sia a requisiti più stringenti nella definizione dell’assegno, premiando chi in base al reddito Isee non possiede né case né rendite. Senza contare che il finanziamento dei Cpi si ridurrà drasticamente – a 300 milioni – dal 2020 in poi. Sul fronte pensionistico, grazie all’allungamento delle finestre d’uscita (tre mesi per i dipendenti privati, sei per gli statali) si scommette su un abbassamento della platea tra il 15 e il 20 per cento, per generare risparmi non inferiori ai due miliardi.
Il passo indietro di Di Maio e Salvini, però, basta a recuperare soltanto quattro miliardi di euro. L’Europa aspetta che Palazzo Chigi riduca l’extradeficit almeno di altri 2,5 miliardi, se non tre. Dalla maggioranza sperano in uno sconto e hanno parlato in maniera generica di «spending review» per recuperare la cifra mancante. Anche perché Bruxelles avrebbe respinto al mittente quello che era il progetto italiano: considerare come investimenti, quindi scomputabili dal deficit, gli 1,7 miliardi di euro allocati per gli interventi contro il dissesto idrogeologico e il quasi miliardo destinato alla riforma della giustizia. Così restano due strade privatizzazioni e tagli di spesa.
PRESSING SU CDP
Sul versante delle dismissioni il Mef preme sulla Cassa depositi e prestiti per accelerare la vendita di immobili pubblici per 1,8 miliardi di euro. Ma da via Goito avrebbero già fatto sapere che compreranno soltanto cespiti di pregio e a prezzo di mercato. Escluse cessioni di quote degli ex monopolisti pubblici in mano al Tesoro o aumenti fiscali per esempio sull’Iva, non restano che i tagli alla spesa. In quest’ottica, ieri, si è parlato di congelare l’indicizzazione delle pensioni sopra i 1.500 euro, cioè il 30 per cento di quelle erogate dall’Inps. Altro capitolo che potrebbe subire sforbiciate è quello delle assunzioni nel pubblico impiego, molto caro a Salvini, che ha strappato l’ingresso di oltre 1.300 agenti nelle forze dell’ordine soltanto nel 2019.