La polenta è cancerogena oppure no? Il Consiglio superiore di sanità dice di no, smentendo chi invece sostiene che il rischio c’è. Tra questi Umberto Veronesi, ex ministro della Sanità e oncologo. A lui, quindi, la parola.
Polenta cancerogena o no? «La polenta in sé è sanissima. Il rischio esiste se il mais è contaminato. Il parere del Consiglio superiore riguarda le malattie causate dalle fumonisine, tossine di funghi presenti nel mais. Ma nel mais ci sono altre tossine ben più pericolose: sono le aflatossine. L’aflatossina Bi è l’epatocancerogeno più potente che si conosca secondo lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro)».
E perché il mais ogm sarebbe più sicuro rispetto alle aflatossine? «Le tossine nelle piante e nel chicco di mais sono dovute ad un insetto, la piralide. Le larve di questo insetto scavano gallerie nel fusto della pianta, trasportando sul loro corpo le spore di un fungo (l’aspergillus flavus) che produce le aflatossine e che si svicaldo-umidi. Per esempio, nel 2003-2004 in coincidenza con un’ estate caldissima, sono state ritirate dal mercato tonnellate di latte perché le mucche si erano alimentate con un mais pieno di aflatossine. Poiché gli agrofarmaci utilizzati nelle coltivazioni tradizionali controllano solo parzialmente l’infezione, si è pensato di migliorare la pianta di mais, rendendola resistente al parassita. E così nato Bt, un mais che, in seguito all’introduzione di un gene esterno, resiste naturalmente all’infezione da parte della piralide».
Ma, allora, come mai il Bt non è accettato? E la solita contrapposizione fra naturale-biologico buono e biotech cattivo? «Restiamo sulla polenta. Probabilmente con le aflatossine abbiamo sempre convissuto. Oggi, però, sono alla ribalta perché si sventola la bandiera del ritorno al cibo naturale. L’uomo ha sempre modificato la natura per difendersi dai suoi attacchi e per migliorare il proprio benessere. Anche le spighe di grano di oggi sono il risultato di una modificazione dell’uomo: un tempo le spighe erano di due metri, come si può vedere in un celebre quadro di Van Gogh. E ancora: la pasta che ogni giorno mangiamo è ottenuta con grano duro o creso che deriva da una modificazione genetica del chicco originale. La storia delle scienze agroalimentari è la storia dell’intervento dell’uomo sulla natura. Oggi l’agricoltura cosiddetta biologica si appella ad una cultura che propugna l’idea di una sana alimentazione basata sul ritorno a sistemi di coltivazione tradizionali. Io rispetto la loro posizione, ma non per questo l’intervento genetico va demonizzato».
Pensa che il biologico abbia meno rischi perla salute? «Penso che anche il cibo biologico abbia i suoi rischi. Per esempio l’epidemia di escherichia coli di quest’estate è nata probabilmente a causa dal letame infetto utilizzato perla concimazione».
E però innegabile che c’è un forte scetticismo, quasi una paura, nei confronti del biotech… «Lo capisco, è una questione culturale. La colpa è forse in parte anche di noi scienziati che nel vorticoso sviluppo degli ultimi decenni non ci siamo impegnati nella comunicazione, per far capire alla gente che la scienza ci vuole e ci può aiutare a sviluppare un’alimentazione sempre più sana. C’è un movimento antiscientifico mondiale, e fortissimo in Italia. Ma il dibattito deve continuare perché per il futuro solo la scienza può risolvere i problemi di alimentazione, che sono nazionali e allo stesso tempo planetari. La richiesta di cibo e i prezzi degli alimenti continuano ad aumentare, parallelamente alla popolazione mondiale che raggiungerà i 9 miliardi nel 2050. A cui vanno aggiunti i 4 miliardi di animali di allevamento che da soli consumano una parte considerevole dei prodotti agricoli. Parallelamente, il crescente consumo di carne facendo lievitare la richiesta di foraggi per nutrire il bestiame causa un’ulteriore riduzione della disponibilità di terra per l’agricoltura. Solo un approccio scientifico che utilizza anche le conoscenze genetiche può incidere su questo scenario. Nutrire il pianeta, energia perla vita è il titolo dell’Expo 2015 a Milano. Gli scienziati si stanno impegnando a preparare la Carta 2015, una sorta di lascito socio-scientifico dell’Expo che conterrà le linee guida per tutte le istituzioni, i governi e gli organismi che in futuro si vorranno occupare di alimentazione nel mondo».
Corriere.it – Mario Pappagallo – 9 ottobre 2011