Il focolaio endemico della patologia canina si sta diffondendo dalla Valpolicella al Garda e all’Est veronese. Il risultato è emerso dai prelievi eseguiti dai veterinari su 1.600 animali un anno fa Gli esperti: «La causa del contagio? Metà dei proprietari ad oggi non usa precauzioni».
In provincia di Verona dobbiamo abituarci a fare i conti con un focolaio endemico di leishmaniosi canina che va diffondendosi dalla zona di origine (la Valpolicella), verso la costa gardesana e in maniera meno sensibile anche verso Est veronese. Il dato è emerso dal mese della prevenzione della leishmaniosi canina attuato nel giugno dell’anno scorso dagli ambulatori veterinari privati delle Ulss 20 e 22, con prelievi gratuiti di sangue che servivano a valutare la sieroprevalenza della malattia, cioè se l’animale fosse in qualche maniera venuto a contatto con il parassita del sangue trasmesso dai pappataci, insetti più piccoli delle zanzare, in grado di volare senza far rumore e di pungere la cute in maniera che spesso non viene neanche avvertita. In un mese erano stati prelevati 1.597 campioni di siero, fatti pervenire all’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (Izsve): 542 (33,9 per cento) da cani fra 5 mesi e 19 anni registrati nel Comune di Verona, 115 in quello di Negrar (7,2 per cento), 67 di Pescantina (4,2) e via via calando in termini assoluti e percentuali per tutti gli altri Comuni della fascia pedecollinare. Come ha riferito il medico veterinario Gioia Capelli, ricercatrice dell’Izsve, durante la serata di presentazione dei dati, curata dall’Ordine dei medici veterinari, dalle Ulss 20 e 22, dalla Società italiana di medicina veterinaria preventiva e dall’Associazione Giovanni Vincenzi, con la collaborazione dell’azienda Virbac, «in 79 casi (5,1 per cento) è stata riportata la presenza di sintomi riferibili a leishmaniosi ma il dato più preoccupante è che alla domanda di quali presidi antirapassitari si utilizzino per la prevenzione, 823 titolari di cani, cioè il 51,5 per cento abbia dichiarato di non utilizzare nulla, mentre 42 cani (2,88 per cento) sono risultati positivi all’esame sierologico. Nonostante i positivi siano pochi in termini assoluti, ci troviamo di fronte a una situazione da manuale di un focolaio endemico», ha precisato la dottoressa Capelli, riferendo che in termini assoluti il numero maggiore di casi positivi è stato riscontrato a Verona, Negrar e Lavagno, e in termini percentuali a Cazzano di Tramigna, Marano di Valpolicella, Rivoli e Torri del Benaco, evidenziando, come già si sospettava, che l’area di espansione è la fascia collinare di Nordovest. Gli animali risultati più positivi sono quelli fra 3 e 10 anni, in un tipica situazione di focolaio di endemicità bassa, rispetto a quelli del Centro e Sud Italia. Ma che misure di prevenzione sono possibili? «È consigliato il vaccino», ha riferito la ricercatrice, «ma senza abbandonare i repellenti come il collare antiflebotomi e gli spot-on, le pipette caricate con sostanze repellenti da spremere periodicamente sulla cute dell’animale: non bisogna in nessun caso abbassare la guardia perché se anche i casi non sono tanti, prima o poi l’endemicità è destinata ad espandersi, proprio perché più della metà dei padroni di cani non usa nessuna precauzione. I passaggi obbligati sono lo screening precoce, la corretta prevenzione e l’educazione dei proprietari di animali». Nella stessa serata il veterinario Rudi Cassini, di Agripolis di Legnaro, dell’università di Padova, ha illustrato il sistema di controllo in un recente focolaio a Calaone, sui Colli Euganei, dove l’efficace prevenzione non ha debellato la malattia ma dopo tre anni ha portato a un solo caso di sieropositività su 24 cani giovani monitorati. Nicoletta Rizzi, medico veterinario del servizio tecnico di Virbac, l’azienda che produce il vaccino e lo commercializza in Italia dalla primavera dell’anno scorso, ha presentato i risultati di una ricerca che dimostrano l’efficacia del prodotto sul 93 per cento dei cani vaccinati, rimasti liberi da qualsiasi sintomo di malattia e nonostante lo studio sia stato condotto in situazioni estreme su due strutture (a Napoli e a Barcellona) il vaccino ha ridotto di quattro volte il rischio di sviluppare la malattia.
L’Arena – 21 giugno 2013
Post Views: 122