Se non è crisi del settimo anno, fra Veneto e Roma, poco ci manca. Dal giorno in cui Luca Zaia si è accomodato sullo scranno più alto di Palazzo Balbi, sono passati poco più di sei anni e mezzo, per la precisione 80 mesi in cui i rapporti fra la Regione e lo Stato sono diventati sempre più tesi, a giudicare dal numero dei contenziosi che hanno visto contrapposti i due livelli istituzionali davanti alla Corte Costituzionale.
La clamorosa sentenza sulla riforma Madia, infatti, è solo l’ultima di una lunga serie: fra il primo e il secondo mandato del leghista, la giunta regionale e il governo nazionale hanno affilato le armi in ben 84 duelli, in media dunque una volta al mese, con un bilancio che soprattutto nell’ultimo biennio si è attestato su un sostanziale pareggio.
La contabilità tenuta dall’Avvocatura Regionale va spiegata con una precisazione: spesso una legge viene impugnata in più punti, per cui lo stesso dispositivo può contenere in realtà diverse motivazioni relative ai differenti passaggi contestati, dunque più decisioni. Questo spiega la ragione per cui, nel saldo finale, non c’è corrispondenza aritmetica fra ricorsi e verdetti, che sono più numerosi. Fatta questa premessa, il registro custodito al Palazzo Grandi Stazioni dice che dall’elezione di Zaia nel marzo del 2010, fino a dicembre del 2014, Regione e governo si erano fronteggiati davanti alla Consulta per 54 volte, di cui 24 su iniziativa di Venezia e 30 per decisione di Roma. In quel quinquennio si era imposta una tendenza per cui lo sfidato si impone sullo sfidante: quand’era stato il Veneto a fare causa, aveva incassato 12 vittorie e 23 sconfitte, mentre quand’era stata la presidenza del Consiglio a chiedere il giudizio, sulle sentenze fino ad allora depositate aveva ottenuto 8 successi e 16 ko.
Considerando invece il 2015 e il 2016, che comprendono gli ultimi cinque mesi del primo mandato del leghista e i primi diciotto dell’attuale legislatura, la partita sembra essere più equilibrata, anche se a volerla disputare è più la giunta Zaia che il governo Renzi. Lo scorso anno i ricorsi sono stati 11 (7 della Regione e 4 dello Stato), quest’anno sono stati 19 (14 del Veneto e 5 di Roma). Una parte di questi sono già stati definiti, mentre per una dozzina sono state fissate le udienze nel corso del 2017 e per un’ulteriore manciata non c’è ancora traccia di convocazione. Il risultato per ora è di perfetta parità: 13 a 13. Con una curiosità: mentre nel 2015 la Regione ha battuto lo Stato 10 a 6, nel 2016 è stato Palazzo Chigi a sconfiggere Palazzo Balbi per 7 a 3.
Anche in quest’ultimo biennio, comunque, pare confermarsi il trend per cui chi pensa di avere ragione quando decide di rivolgersi alla Corte, al momento del verdetto risulta avere torto. Nel 2015, ad esempio, 4 delle 6 sentenze sfavorevoli alla Regione sono arrivate dopo un ricorso dello stesso ente, così come sulle 10 sfavorevoli, 5 sono maturate in seguito ad un’azione promossa dal governo e 3 da impugnative in via incidentale da parte di altri giudici. Allo stesso modo, nel 2016 ben 6 dei 7 verdetti sfavorevoli al Veneto sono giunti al termine di sue stesse iniziative, mentre in 2 vittorie su 3 era stata Roma ad agire.
Per quanto riguarda la spesa, dall’avvento di Zaia ad oggi i ricorsi alla Consulta sono costati alle casse regionali circa 1,6 milioni di euro, di cui 300 mila negli ultimi due anni. Metà dei contenziosi sono stati curati dagli avvocati interni, per cui è stato necessario pagare solo la domiciliazione a Roma (4.000 euro a pratica), mentre per l’altra metà sono stati affidati incarichi a studi legali esterni, con parcelle che oscillano fra 15.000 e 20.000 euro a fascicolo.
Ora l’attesa è per il pronunciamento dei giudici costituzionali su due casi: i rendiconti dei gruppi consiliari e la Buona Scuola. Per quanto attiene invece alla parziale bocciatura della riforma Madia, non ci saranno effetti sulle nomine degli attuali direttori generali delle aziende sanitarie, che rimarranno in carica per altri due anni in virtù dei contratti triennali firmati nel dicembre scorso. L’attenzione è rivolta semmai alla riscrittura della legge delega sulla pubblica amministrazione da parte del governo, ma questa sarà tutta un’altra storia.
Il Corriere del Veneto – 27 novembre 2016