I consiglieri, specie quelli della fu maggioranza forzaleghista, non vogliono riunirsi più? Il presidente dell’assemblea Valdo Ruffato li trascina (letteralmente) a Palazzo Ferro Fini, con un atto d’imperio «indispensabile per evitare brutte figure». Accade anche questo, nello strampalato finale di legislatura a cui si assiste in laguna, mentre già imperversa la campagna elettorale.
Prologo. Martedì scorso la conferenza dei capigruppo si riunisce come di prassi per stabilire l’ordine dei lavori della seduta già convocata per l’indomani, ultimo appuntamento del quinquennio dopo la faticosa approvazione del bilancio. La maggioranza è dilaniata, i consiglieri sono impegnati sul territorio in vista del voto e c’è una lettera del segretario generale che mette in dubbio la tenuta costituzionale di eventuali nuovi provvedimenti, visto che formalmente il consiglio è scaduto il 28 marzo e in regime di proroga può approvare solo gli atti «necessari, indifferibili ed urgenti». Si valuta, si discute, si litiga. Risultato: i capigruppo decidono che può bastare così e, a sorpresa, «sconvocano» la seduta in agenda. Ci si rivede a giugno, col nuovo consiglio. La minoranza dice che è colpa della maggioranza («Temono che l’aula diventi un Vietnam in cui passa di tutto»), la maggioranza dice che è colpa di Renzi («Spostando il voto di due mesi ci ha messo a rischio ricorsi») e ne nasce un putiferio dovuto soprattutto al dettaglio che i consiglieri, per legge, ricevono comunque lo stipendio fino alla proclamazione dei loro successori, che lavorino o non lavorino. E 17 mila euro netti in due mesi, senza manco una pigiata di bottone, certo sono un bel modo per dirsi addio.
Ruffato, però, non si rassegna e riconvoca i capigruppo, ieri. Altra discussione, Federico Caner e Piergiorgio Cortelazzo, speaker della Lega e di Forza Italia per il Veneto, insistono nel dire no e così facendo impediscono che si raggiungano i 4/5 dei componenti del consiglio necessari per stabilire di comune accordo data e ordine del giorno della seduta, nonostante gli altri capigruppo insistano nel volersi riunire. E qui accade una cosa di cui, a memoria, non si hanno precedenti in questa legislatura: Ruffato, avvalendosi delle facoltà assegnatigli dal regolamento, decide di riunire comunque l’assemblea martedì e mercoledì, per affrontare il piano rifiuti (temutissimo dalla Lega perché firmato dall’assessore «tosiano» Maurizio Conte, che esulta: «Così eviteremo di dover rifare tutto daccapo e di incorrere nella procedura d’infrazione dell’Ue»), oltre ad alcune leggi licenziate all’unanimità dalle commissioni, come la legge sullo sport o la riforma del soccorso alpino. E sempre Ruffato stabilirà pure la scaletta dei lavori, in cui troveranno di certo posto i saluti dei consiglieri che hanno deciso di non ricandidarsi mentre sono in bilico i provvedimenti approvati in extremis ieri dalla commissione Affari istituzionali, e cioè la proposta di modifica della Costituzione per limitare a due mandati tutte le cariche elettive (se ne dovrebbe occupare il parlamento), i provvedimenti attuativi delle leggi di riordino delle partecipate e delle Ater ed un corposo pacchetto di candidature, da Veneto Sviluppo a Veneto Nanotech, da Veneto Acque alla Rocca di Monselice.
Ma a Palazzo, come si diceva, a tener banco è soprattutto la campagna elettorale. E in molti sono al lavoro sulla calcolatrice. Se si crede ai sondaggi, infatti, pare scontato che chi vincerà, comunque resterà sotto il 45%. Il che significa, con la riduzione dei consiglieri da 60 a 51 e con i nuovi premi di maggioranza, che potrà contare su appena 28 consiglieri contro i 23 della minoranza, compresi gli assessori «interni» e il presidente che per tradizione hanno tassi di presenza bassissimi, presi come sono dagli impegni di governo. Detto che il numero legale è fissato a quota 26, di fatto per la maggioranza sarà complicatissimo non solo garantire l’approvazione delle leggi (e la prima in calendario è l’assestamento di bilancio) ma anche il solo svolgimento delle sedute, mentre ai consiglieri basterà minacciare un’assenza per poter fare la voce grossa al tavolo delle trattative. Si rischia l’ingovernabilità. A meno che il giorno dopo le elezioni il vincitore non si metta all’opera per allargare la sua maggioranza. Chissà, magari con gli «ex amici» con cui ha governato solo fino ad un mese prima.
Ma.Bo. – Il Corriere del Veneto – 22 aprile 2015