Se Flavio Tosi ha annunciato un esposto in procura, il Partito democratico presenta, più sommessamente, una interpellanza in Regione. A far discutere è sempre il decalogo della Regione dell’agosto 2014 (ma in realtà una prima versione della delibera era già stata presentata nel 2011) sui criteri per distinguere i codici bianchi dai codici verdi al Pronto soccorso, ovvero per stabilire chi tra i pazienti non gravi deve pagare il ticket e chi no.
Il caso è esploso a Borgo Trento, messo nel mirino dagli ispettori regionali per la mancata applicazione di quei criteri e in seguito dotato di un software che, identificando in automatico il codice una volta inserita la diagnosi, ha fatto triplicare i codici bianchi, e quindi le prestazioni a pagamento.
«Questa vicenda – osserva il consigliere regionale del Pd Bruno Pigozzo, firmatario dell’interpellanza assieme ai colleghi Claudio Sinigaglia, Orietta Salemi e Franco Ferrari (lista Moretti) – è la conseguenza diretta delle pesanti modifiche ai criteri per l’assegnazione dei codici di appropriatezza apportate dalla Giunta con quella delibera. E mentre l’assessore alla Sanità sostiene che i medici hanno libertà nell’imputare i codici, i medici si dichiarano defraudati della loro professionalità». L’esponente del Pd chiede quindi che «la Giunta verifichi con la massima urgenza l’applicazione dei criteri di assegnazione del codice bianco» perché «non è la stessa cosa accedere al Pronto Soccorso gratuitamente piuttosto che sborsando cifre che si aggirano attorno ai 60 euro». Pigozzo parla di un «software regionale» che tuttavia non risulta esistere: ogni azienda sanitaria si impegna ad applicare la delibera come crede.
Il punto, semmai, è un altro. I rigidi criteri stabiliti dalla Regione portano spesso a far sì che un paziente che si presenta in Pronto soccorso e a cui venga assegnato un codice verde in ingresso, venga dimesso con un codice bianco. La differenza sta che, nel secondo caso, deve pagare il ticket. Questo è quello che fa indignare molti utenti dei Pronto soccorso. Racconta, ad esempio, Emilio Zamboni (che è un ex consigliere regionale della Lega Nord): «Il 3 maggio scorso, era di domenica, ho avuto una fortissima colica renale e sono andato al Pronto Soccorso dell’ospedale di Negrar. Entro con un codice verde. Vengo curato (flebo, pastiglie, assistenza medica) e poco prima di mezzanotte vengo rimandato a casa. Prima di uscire però, mi viene chiesto di pagare perché sono diventato codice bianco». L’esponente leghista, che dice di averne parlato personalmente con il governatore Luca Zaia, si chiede se sia logico o meno che gli sia toccato pagare un centinaio di euro, soldi che lui può certo permettersi di sborsare ma che «per altre categorie di lavoratori può essere un costo pesante».
A dargli in qualche modo ragione è Lorenzo Adami, segretario della Fimmg (medici di base) di Verona. «La discrepanza dei codici è una contraddizione su cui bisogna agire, io come medico di famiglia dico che per il pagamento dovrebbe essere considerato il codice di ingresso e non quello di uscita», afferma. Anche lui cita come esempio le coliche renali: «È un evento drammatico per chi le subisce, l’infermiere non riesce a valutare subito di cosa si tratta esattamente. Si va una visita specialistica, gli esami del sangue, una radiografia o un’ecografia, poi certo magari con una flebo si risolve tutto. Ma il paziente alla fine sta bene solo perché ha ricevuto un aiuto». Per Giampaolo Battizocco, segretario dei medici ospedalieri dell’Anao che, tra l’altro, lavora al Pronto soccorso di Bussolengo, «una colica renale può benissimo entrare in un codice giallo, dipende dal dolore del paziente». In ogni caso, spiega, «possiamo giudicare solo dopo il trattamento se quello che in ingresso era un codice verde, lo sia davvero o debba considerarsi un codice bianco, secondo quanto prescrive la Regione».
Alessio Corazza – Corriere Veneto – 7 ottobre 2015