Paradossi del sistema. Mentre la Regione progetta una rete di strutture extraospedaliere in grado di assistere i pazienti dimessi, un nucleo importante dei servizi territoriali fatica a sopravvivere.
Sulle barricate ambulatori, laboratori, centri di fisioterapia e radiologia privati convenzionati — sono 300 per un totale di 3300 dipendenti, 22 mila prestazioni al giorno e 18 milioni di utenti l’anno —, ieri tornati in piazza in sei città venete per protestare contro i tagli al budget che stanno drasticamente riducendo posti di lavoro e cure agli utenti. Dopo il centinaio di dipendenti messi in mobilità nella città del Santo dal gruppo Data Medica e i 40 licenziati a Rovigo, cui si aggiungono cento tra infermieri, tecnici e chimici «esterni» non riconfermati, altri 500 dipendenti della medicina accreditata rischiano di restare disoccupati. I direttori generali delle Usl (fatta eccezione per Asolo, Cittadella e Verona) non stanno infatti corrispondendo ai privati i 23 milioni concessi dalla giunta Zaia lo scorso aprile per «calmierare» la decurtazione del 35% del budget (sceso a 140 milioni) deliberata a dicembre 2012.
A nulla sono serviti richiami, incontri, ricorsi al Tar. E così ieri il «Comitato di crisi regionale della sanità veneta» ha organizzato presidi davanti all’Usl 16 di Padova (sede del 40% dei privati), a Palazzo Balbi a Venezia, Godega di Sant’Urbano, Valeggio sul Mincio, Brendola e Montegrotto, Comuni di residenza del governatore Luca Zaia, dell’assessore alla Sanità Luca Coletto, del segretario Domenico Mantoan e del presidente della V commissione Leonardo Padrin. Gazebo e sit in collegati in streaming con la «base» allestita in Comune a Padova, dove il sindaco Ivo Rossi ha ricevuto una delegazione. «La situazione è grave — ha riferito Alberto Bressan, imprenditore di settore — dopo 40 anni il convenzionato non ha più la forza di andare avanti. Alcune aziende hanno già finito il budget, altre lo esauriranno a settembre, perciò si perderanno altri 500 posti di lavoro, diversi ambulatori chiuderanno e le prestazioni crolleranno, allungando le liste d’attesa». Per di più dopo 35 anni non stop dal 5 al 25 agosto chiuderanno strutture di Padova, Venezia e Rovigo. «Il quadro è pesante, si possono creare danni non più recuperabili — ha osservato Ivo Rossi —. Chiederò a Coletto di far applicare la delibera sull’extrabudget: è probabile che ci sia un indirizzo generale a raffreddarla. Mi preoccupa molto la ricaduta sulla pelle della gente, abituata a una sanità di qualità, possibile solo con l’integrazione pubblico-privato». Timori condivisi dall’assessore provinciale al Lavoro, Massimiliano Barison, che ha incontrato una seconda delegazione e scritto una lettera a Zaia per chiedere un tavolo tra Regione, accreditati e parti sociali capace di conciliare la spending review con le esigenze di lavoratori e pazienti. «Finito il budget dobbiamo far pagare le prestazioni per intero, come privato puro, non col ticket — spiega Lia Ravagnin, presidente di Anisap, sigla di categoria —. Finora abbiamo continuato a fornire servizi contando sui 23 milioni, ma non arrivano, perciò dobbiamo fermarci». Dall’inizio della crisi già molti veneti rinunciano alle prestazioni specialistiche, dal 2010 al 2012 scese di 4 milioni. «Entro una settimana Coletto dovrà dirci se l’extrabudget sarà corrisposto o meno e perchè», annuncia Ravagnin. «Io la delibera sui 23 milioni l’ho fatta, adesso ho chiesto a Mantoan di convocare i dg perchè la applichino al più presto — assicura l’assessore —. I soldi ci sono». Sì, dicono i manager, ma servono ad abbattere le liste d’attesa: se sono in regola, perchè spenderli? «Per garantire la libertà costituzionale del paziente a scegliere dove farsi curare — precisa Flavio Magarini, presidente veneto di Cittadinanza attiva-Tribunale del Malato —. Il privato integra il pubblico, per rendere più capillare il servizio, non può sparire».
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 17 luglio 2013