Le nuove norme del decreto liberalizzazioni che fissano modalità dei contratti e tempi per i pagamenti. Maggiore: «Regole nate con buoni propositi, ma creano grossi problemi soprattutto a chi esporta»
Erano arrabbiati e confusi gli imprenditori del settore agroalimentare che ieri si sono riuniti al centro servizi del Banco Popolare: l’occasione è stata data dall’incontro tecnico organizzato da Confindustria Verona, allo scopo di far luce sui nodi controversi e sulle implicazioni pratiche delle nuove norme entrate in vigore lo scorso 24 ottobre, come stabilito dall’articolo 62 del decreto liberalizzazioni. Nonostante il decreto attuativo non sia ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, non è stata concessa alcuna proroga e le imprese devono applicare le nuove disposizioni in assenza di indicazioni certe: sono regole che riguardano non solo l’agroindustria, ma anche tutte le imprese che acquistino beni alimentare, dagli albergatori ai ristoratori alle imprese che si occupano di logistica. Ora le regole dell’agroalimentare obbligano infatti a contratti scritti tra imprese e fornitori per la commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari e, soprattutto, a nuovi termini nei pagamenti della filiera. «Le nuove norme erano nate con dei buoni propositi», ha spiegato Massimo Maggiore, dello studio legale Maschietto Maggiore di Milano, «cioè con l’obiettivo di tutelare i produttori italiani garantendo tempi di pagamenti certi, riequilibrando i rapporti all’interno della filiera, evitando abusi da parte dei grandi operatori della distribuzione organizzata nei confronti dei produttori più piccoli. Il risultato finale però, è che queste regole creano grossi problemi soprattutto a chi esporta». Le regole impongono infatti tempi di pagamenti certi (30-60 giorni) per le consegne che vengono fatte in territorio nazionale. «Ma in questo modo le numerose aziende che consegnano i propri prodotti a clienti stranieri qui, in Italia», ha spiegato Maggiore, «saranno costrette a imporre tempi di pagamenti molto brevi rispetto al passato. Il risultato? Quei clienti potrebbero rivolgersi ad altri fornitori, di altri Paesi, pur di mantenere tempi di pagamenti più dilatati». Un’altra criticità della nuova normativa riguarda il disallineamento tra il momento in cui viene pagata la materia prima per produrre una merce e il momento in cui quella merce viene venduta. Come esempio Maggiore ha citato l’Amarone: «Un produttore che acquista le uve, ad un prezzo elevato, le dovrà pagare subito. Ma il suo vino, che produrrà grazie a quelle uve, lo rivenderà dopo tre anni e andrà necessariamente incontro a ristrettezze finanziarie». La nuova norma stabilisce poi che sono illeciti i contratti verbali e considera validi solamente quelli scritti. «In questo modo», ha sottolineato Maggiore, «si creano problemi a quelle imprese poco strutturate, abituate ad un sistema informale e ora costrette a riorganizzarsi in breve tempo». Le sanzioni previste per chi viola queste regole sono infatti molto alte, arrivano fino a 500mila euro in caso di mancato rispetto dei tempi di pagamento e anche gli interessi di mora sono del 10%. «Le associazioni di categoria», ha spiegato Pierluigi Magnante, responsabile area economia e gestione impresa di Confindustria Verona, «stanno cercando di intervenire per fare capire i limiti di questa nuova normativa. La stessa Confindustria sta lavorando per delle modifiche, in particolare di quegli aspetti che provocano più danni che benefici». Antonio Matonti della Direzione Affari Legislativi di Confindustria, che doveva essere tra i relatori dell’appuntamento di ieri, non ha potuto partecipare perché impegnato al Senato in un incontro proprio sull’ariticolo 62.
8 novembre 2012 – L’Arena