Il Corriere del Veneto. Hanno perso la vita in cantiere, precipitando da capannoni industriali (l’altro ieri Francesco Gallo è volato da cinque metri d’altezza a Fusina nel Veneziano) o investiti da mezzi di lavoro come successo il 13 gennaio all’esterno della Pilkington di Marghera. Dopo un 2021 con un record di morti bianche che nessuno avrebbe voluto conquistare, di nuovo il 2022 si apre con tragedie sul posto del lavoro. A raccogliere dati e statistiche è l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering di Mestre: 105 decessi nei dodici mesi appena trascorsi, il 22% in più dell’anno precedente. Ma soprattutto, il quintuplo della media nazionale, ferma al 4%. Da Venezia a Padova, passando per Vicenza, Verona, Belluno e Rovigo nessuna provincia veneta si salva.
«È certamente testimonianza della ripresa economica e produttiva della nostra regione negli ultimi mesi», commenta Mauro Rossato, presidente dell’Osservatorio di Vega Engineering. Dopo le chiusure imposte dal lockdown del 2020 e dalle zone rosse dell’anno scorso, la ripresa in Veneto è reale, il Pil cresce e di pari passo è aumentata la mole di lavoro. «Siamo una regione dall’economia vitale, con un ripresa, o forse è più adeguato dire un riscatto, dagli effetti maggiori che altrove — sottolinea l’ingegnere Federico Maritan, direttore dell’Osservatorio — le ripartenze sono però complesse, c’è molta confusione, basti pensare che in questo momento il 20% degli addetti è a casa con il Covid, il materiale fatica ad arrivare e quando c’è disorganizzazione rischio e imprevisti crescono».
I 105 decessi di lavoro del 2021 mettono il Veneto al sesto posto nazionale per morti bianche ma, ci tiene a precisare Vega, non ci inseriscono nella blacklist delle regioni poco sicure. Anzi, mutuando i colori dell’emergenza sanitaria, siamo in «zona gialla». «L’incidenza tra infortuni e numero di lavoratori è inferiore della media nazionale — precisa Rossato — è il rapporto della mortalità rispetto alla popolazione che deve diventare il vero parametro per decretare un maggiore o minore rischio nel confronto con le altre regioni italiane».
I 105 morti pesano però come un macigno su un territorio che sta cercando di rialzarsi dalla crisi. «Siamo in drammatica controtendenza — chiosa Christian Ferrari, segretario confederale Cgil — conta quale elemento contingente la ripartenza, ma ci sono cause strutturali per questa Spoon River». Ossia, il sistema degli appalti e subappalti, la precarietà del lavoro e i controlli risicati. «Non si costruire la ripresa così», tuona il sindacalista. «Si rompe un percorso virtuoso che fino al 2019 aveva ridotto il numero dei morti sul lavoro — osserva Gianfranco Refosco, segretario confederale Cisl — è una tendenza allarmante, in cui confluiscono più fattori». C’è, sì, la ripartenza con filiere come l’edilizia che esce da un decennio da lacrime e sangue. Ma sotto processo dei sindacati vanno anche il modello produttivo e chi dovrebbe accertarsi che la sicurezza è garantita. «Tutte queste morti erano evitabili — conclude Refosco — da vent’anni in Veneto le cause dei decessi sono sempre le stesse: cadute, investimenti, schiacciamenti». Parole d’ordine dunque per il futuro: controlli, vigilanza e formazione del personale. «La sicurezza sul lavoro è una priorità — dice la responsabile lavoro del Pd Vanessa Camani — le regole ci sono, il tema è applicarle».
I settori con più incidenti, rileva Vega, sono edilia e manutenzioni. La città dove si rischia sul lavoro di più è Rovigo mentre Verona è la provincia con il maggior numero assoluto di vittime (22). Crescono anche gli infortuni (più 6% passando da 65.437 nel 2020 a 69.427 nel 2021.