Il medico di famiglia potrebbe diventare dipendente. Non in tutta Italia ma in Veneto dove il nuovo piano sanitario regionale, ormai in pista, prevede che per l’assistenza primaria la Regione si affidi sia agli attuali convenzionati, sia -dove non ce ne sono, o è difficile impiantarli come nelle aree spopolate – a medici dipendenti dell’Ulss, l’azienda sanitaria locale, sia a strutture accreditate terze, privati o anche medicine di gruppo formate da medici di famiglia. Il piano sanitario veneto presenta molti tratti di autonomia interessanti, il direttore generale sanità nominato dal consiglio regionale, manager aziendali in carica tre anni non rieleggibili, una Direzione d’area sociale che può coordinare i servizi sanitari territoriali. La dipendenza sembra un po’ una scommessa: da una parte costa di più alla regione (ferie, malattia etc) dall’altra gli stessi medici ospedalieri stremati dalle carenze d’organico se possono lasciano il pubblico per lavorare nel privato. C’è di più, come sottolinea Domenico Crisarà segretario Fimmg Veneto: «Il medico di famiglia ha un ruolo peculiare, conosce a fondo il suo paziente, la convenzione a quota capitaria è coerente con questo ruolo che media tra esigenze dell’assistito e disponibilità del servizio sanitario. Oggi i medici di famiglia sono pochi e trovare lavoro è molto più rapido per un giovane. Ora, un conto è proporre un bando per dipendenti che devono fare chilometri e chilometri in aree spopolate là dove il medico non ha alternative, altro farlo ora che le zone carenti si aprono a decine in aree dove raggiungere il massimale velocemente non è difficile». Fabrizio Boronpresidente della Commissione sanità del consiglio regionale veneto è stato il primo a evocare il mmg dipendente e Crisarà gli ha spesso obiettato di avere posizioni pregiudiziali o quantomeno non suffragate da un confronto con numeri alla mano. Risponde a Fimmg con una riflessione: «Se dunque i medici convenzionati sono pochi e possono scegliere dove andare, ove non potessi fare il bando per la dipendenza, nell’Alto Cadore come li copriamo 600 assistiti, molti dei quali anziani, sparsi tra montagne? Noi ci siamo dati tre possibilità, il convenzionamento, la dipendenza e il privato accreditato che può fornire pacchetti di servizi, dall’assistenza primaria a un tot di assistiti, alla presa in carico della cronicità, alla specialistica, allo screening dei codici bianchi. Le strutture accreditate – continua Boron – possono essere anche medicine di gruppo ma su queste ultime, non realizzate pienamente, va fatta una riflessione: nei grossi centri sono molto efficienti, nelle campagne ci sono problemi per istituirle; uno dei loro obiettivi top era ridurre lo screening dei codici bianchi in pronto soccorso, ma su questo i dati regionali dicono che non hanno inciso».
Sullo sfondo c’è il nodo dell’autonomia, «se riuscissimo a costruire il nostro budget sui costi standard, cioè i costi di erogazione di un servizio nelle migliori condizioni di efficienza ed appropriatezza, al posto dei dati di spesa storica, si libererebbe un miliardo. E ci servirebbe per potenziare l’offerta, in particolare specialistica, e ridurre le liste d’attesa in un momento in cui il privato dà più spesso del pubblico risposte immediate; loro hanno le mani libere, noi per legge nazionale dobbiamo spendere per il personale la quota del 2004 meno l’1,4% e avere un numero di specialisti concordato con Roma; se si liberassero risorse eviteremmo il crearsi di due sanità, una privata finanziata da fondi integrativi e sempre più ricca e una pubblica a rischio declino». Sul nodo liste d’attesa Boron parla di potenziare l’offerta, nei forum di Doctor33 invece i Mmg chiedono strumenti per governare la domanda, Aldo Lupo dei medici europei UEMO evoca la quota capitaria pure per gli specialisti: pagati un tot a paziente, come i Mmg, non insisterebbero a visitare di più e non alimenterebbero la domanda. Per Crisarà, «regioni che incrementano l’offerta specialistica per abbattere le attese e pagano i medici in libera professione per ottenere più attività istituzionale (toscana, ndr) non sono sulla buona strada. Lo stesso ricorso agli ambulatori by night per gli esami, qui in Veneto pare aver inciso solo per il 7% sulle attese. Chi afferma che le liste nascono da intasamenti generati dalle troppe prescrizioni dei medici di famiglia, dimentica che a differenza del sistema britannico quello italiano non vede il Mmg come unico mediatore di “primo livello” tra bisogni e disponibilità SSR. C’è anche il privato, dove spesso i pazienti fanno la prima visita dallo specialista, tornano da noi per gli accertamenti e riconfluiscono nel pubblico. La domanda è alimentata sia da un’offerta di diagnostica esorbitante sia dal privato. Per governare il fenomeno occorre ascoltare i medici e costruire una vera medicina di primo livello sul territorio, prioritaria a qualsiasi altra scelta, inclusa la tripartizione dipendenza-convenzionata-privato che a quanto so, è fin qui in Veneto un ragionamento limitato alla presa in carico delle cronicità».
Mauro Miserendino – Doctor33