Nelle ore convulse che precedono la definizione delle liste venete della Lega, è il trevigiano Gianpaolo Dozzo, capogruppo alla Camera con cinque legislature alle spalle, la spina nel fianco del segretario Flavio Tosi, soggetto a pressioni di segno opposto.
Il partito della Marca si oppone decisamente alla sua rielezione, non soltanto per esigenze fisiologiche di rinnovamento ma perché una sua candidatura in posizione vincente al Senato escluderebbe dalla corsa Gianpaolo Vallardi, figura apprezzata e al primo mandato parlamentare. Lo stesso Tosi (forte di un consenso unanime della direzione regionale) ha ribadito la volontà di procedere a un ricambio radicale ma Dozzo non molla l’osso e conta su uno sponsor di peso, Bobo Maroni; circostanza che, probabilmente, farà pendere in suo favore l’ago della bilancia. Il fatto è che nella fase più acuta dello scontro con Bossi, il “barbaro sognante” riuscì a liberarsi del detestato capogruppo a Montecitorio Marco Reguzzoni (uomo del Cerchio magico) grazie al sostegno determinante di Dozzo, che subentrò nel ruolo di speaker. Un debito di riconoscenza, sì, che ora il veterano intende incassare. La sua conferma suciterebbe non poche proteste a Treviso, né si tratta dell’unico focolaio di malumore interno: i “venetisti”, orfani del Senatur, scalpitano in attesa di conoscere quale sarà il destino del loro alfiere, il padovano Massimo Bitonci. Tant’è. Tosi proverà a conciliare il diktat di via Sellerio con la discontinuità promessa, valorizzando sindaci e giovani quadri secondo criteri di equilibrio nella rappresentanza del territorio. Nel frattempo il suo vice vicario, Maurizio Conte, se la prende con le “intimidazioni” giudiziarie delle toghe rosse, argomento abitualmente prediletto dal Cavaliere: «La Lega Nord nei sondaggi procede a trazione integrale e la sinistra, come da consuetudine, carica i pallettoni della magistratura per far procedere la macchina del fango nei nostri confronti». L’assessore regionale allude all’inchiesta sulle quote latte e alle perquisizioni in casa leghista: «C’è poco da dire, ci siamo battuti tra Roma e Bruxelles perché la questione fosse affrontata senza il cieco autoritarismo romano che sulla realtà produttiva del nord si è accanito come una furia. L’obiettivo della giustizia era una coop nemmeno lontanamente legata al movimento, ma le perquisizioni nelle nostre sedi di Milano e Torino sono state un’urgenza inderogabile per chiudere le indagini ad orologeria che si abbattono puntualmente su di noi ad ogni tornata elettorale»; conclusione: «Immagino lo stupore del Pd, avvertito magari da qualche amico di Magistratura democratica, chissà che sorpresa… Questa giustizia non rappresenta l’equidistanza, ma una parzialità di visione che non appartiene alla Lega ma è propria forse di alcuni magistrati che nel prossimo futuro si troveranno nelle liste di centrosinistra».
Il Mattino di Padova – 18 gennaio 2013