E ripartita la discussione, se mai si fosse fermata, sul futuro della sanità in Veneto. La domanda a cui si deve rispondere è: come cambiamo (ri-formiamo) un sistema vecchio di vent’anni affinché risponda non alle necessità del presente ma a quelle del prossimo futuro? Missione impossibile?
No, anche perché possiamo contare su due facilitazioni. La prima: conosciamo in tutti i suoi aspetti il sistema attuale. E’ stato osservato, analizzato e controllato in ogni suo angolo e abbiamo a disposizione volumi interi di dati e ricerche. La seconda: il nostro futuro prossimo ce lo hanno disegnato, molti studi che dicono sostanzialmente le stesse cose che oramai tutti sappiamo (saremo più vecchi e più meticci, avremo meno risorse pubbliche da spendere, ecc.).Sappiamo quindi dove ci troviamo e dove andiamo. Il punto è quindi un altro: riusciamo a tracciare una linea che ci porti dall’oggi al prossimo domani? Per farlo bisogna non solo avere il coraggio di guardarlo in faccia questo domani ma anche avere la volontà di andargli incontro.Chi dovrebbe farlo non ci sembra però che intenda assumere questi atteggiamenti. Prevale la posizione dell’abbassare lo sguardo e rimanere immobili. La riforma è vista come una cattiva medicina e, paradossalmente, la sanità veneta del futuro come una malattia da evitare. Così è se si considera cattiva medicina cancellare stanchi ed anacronistici campanilismi: la rete ospedaliera evidentemente va riorganizzata riequilibrando la quantità con la qualità sotto il denominatore delle risorse disponibili. Così è se si considera una malattia il superamento dei mortificanti schemi che imbrigliano i ruoli di chi opera nel sistema: le professionalità (tutte!) vanno messe nelle condizioni di essere coerenti con la loro ragione d’essere. C’è poi una vera e propria rivoluzione da compiere che è quella di mettere in primo piano la prevenzione. Una scelta indispensabile visto che cambiando gli stili di vita si potrebbero evitare o ridurre l’impatto di molte malattie. Un sistema sanitario organizzato non attorno ad un ospedale ma servito da una capillare presenza nelle comunità locali, attivo nell’opera di informazione, educazione, di controllo sanitario ma anche di cura e di assistenza verso gli anziani, gli ammalati cronici, le persone non autosufficienti riducendo il ricorso all’ospedale.Noi riteniamo che il sistema socio-sanitario veneto dei prossimi vent’anni debba rimanere pubblico, senza preclusioni alla compartecipazione dei privati e ben integrato, con i meccanismi della sussidiarietà, con la realtà del volontariato e della cooperazione sociale. La progressiva ed inevitabile partecipazione diretta ai suoi costi, non più sostenibili solo grazie alla fiscalità generale, da parte di chi la utilizza richiede ancora di più che questo sistema migliori la sua qualità. La capacità di produrre un progetto per la sanità del prossimo futuro deve diventare il metro di misura preminente con cui dobbiamo valutare l’affollata politica regionale anche perché in questa materia i poteri di decidere sono nelle sue mani.
Franca Porto – Segretaria Cisl Veneto- 19 gennaio 2012