Ha letto le parole dei candidati presidente, che promettono altri tagli agli stipendi, nuove sforbiciate ai vitalizi, addirittura l’obbligo per i consiglieri di «timbrare il cartellino» a Palazzo Ferro Fini. E ha fatto un salto sulla sedia. Valdo Ruffato ha deciso di lasciare, dopo due mandati non si ricandiderà più. Ma da presidente uscente dell’assemblea veneta non accetta che i colleghi vengano dipinti come «fannulloni, profittatori e perditempo che girovagano per Venezia come fossero in vacanza».
Un ritratto ingeneroso?
«I vitalizi li abbiamo eliminati, le indennità le abbiamo tagliate, abbiamo introdotto il codice etico, abbiamo ridotto i consiglieri da 60 a 51, le commissioni da 9 a 5, abbassato le spese dell’assemblea dai 60 milioni del 2010 ai 49 milioni del 2015, con un processo iniziato ben prima della spending review . Più di così, vogliono metterci il braccialetto elettronico come i criminali? Basta con la demagogia da campagna elettorale. Il cartellino da timbrare? Informo chi l’ha proposto che già oggi i consiglieri devono firmare quando entrano e quando escono e l’indennità varia in base alle loro presenze e alle votazioni».
La proposta è di Zaia.
«Che non sapeva neppure che in commissione l’astensione vale come voto contrario. Da parte sua sarebbe stata utile una maggior presenza al Ferro Fini, fisica e politica. E’ in coda alla classifica delle presenze col 14% ma non voglio fare polemica. Mi limito a dire che se fin dal principio il rapporto tra la giunta e il consiglio fosse stato impostato su una maggior collaborazione, di sicuro avremmo potuto fare meglio. Spesso non siamo stati capaci di fare squadra e si è visto nelle sedute continuamente sospese, senza numero legale, bisognose di chiarimenti in maggioranza».
Zaia vuole vendere Palazzo Balbi. Il consiglio farà lo stesso con Palazzo Ferro Fini?
«E chi li compra (sorride )? Il vero risparmio, 500 mila euro all’anno, lo otteremo chiudendo gli affitti che paghiamo in giro per portare qui e al vicino Palazzo Torres Rossini, tutti i dipendenti. L’iter è iniziato».
Resta il fatto che la percezione che l’uomo qualunque ha del consiglio è quella di un luogo in cui si guadagna tanto e si lavora poco.
«Forse non siamo bravi a comunicare i nostri sforzi, forse le buone notizie non fanno notizia. Ma i numeri parlano chiaro: 249 consigli, 193 progetti di legge, 156 uffici di presidenza, 1.100 riunioni di commissione. Abbiamo fatto perfino 3 consigli in regime di prorogatio , dopo il 31 marzo, pur di licenziare alcuni provvedimenti condivisi, dallo sport all’editoria».
Eppure.
«Paghiamo il fango che ci è stato gettato addosso dopo gli scandali accaduti in altre Regioni. La crepa coi cittadini si sta allargando, lo si vede anche dal disinteresse per questa campagna elettorale che pure è la prima in 20 anni con una competizione vera. Ne ho fatte tante, non ricordo un’apatia del genere, anche da parte dei candidati consiglieri. Penso che per la prossima legislatura ci si debbano prefiggere due obiettivo. Uno interno: recuperare il rapporto con i cittadini. Ed uno esterno: far uscire il Veneto dall’isolamento in cui è stato cacciato».
Lei ci ha provato?
«Ho aperto il Palazzo alla gente e ne vado fiero: in 5 anni abbiamo accolto 10 mila studenti, 5 mila persone alle sedute, 10 mila visitatori alle mostre, 186 delegazioni sindacali o di categoria. Il consiglio è la casa dei veneti».
La soddisfazione più grande?
«Lo statuto, le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, le due elezioni del presidente della Repubblica».
Il rimpianto?
«La legge sul consumo del suolo, rimasta nel cassetto. E se potessi tornare indietro farei una legge elettorale diversa, più tarata sulla situazione attuale che su un bipolarismo in frantumi, con il ballottaggio e senza l’escamotage del collegamento gruppo-lista che evita la raccolta firme. Oggi corrono liste poco rappresentative».
Perché non si ricandida?
«Nel mio collegio, Padova, alle Europee ho avuto 8 mila preferenze, con Ncd al 4,4%. Le mie chance, insomma, le avrei avute. Dopo aver ricoperto incarichi prestigiosi ho però deciso di lasciare: il rinnovamento non si fa a parole e la politica non è un mestiere. E difatti non ho né paracaduti né promesse d’incarico altrove».
Idee per il successore?
«Potrebbe essere una donna, perché no? Purché abbia buonsenso e tanta, tanta pazienza».
Il Corriere del Veneto – 20 maggio 2015