Undici domande sulla sanità ai candidati alla presidenza della Regione. Le hanno preparate i medici ospedalieri e del territorio del Veneto, che da novembre scorso hanno fatto fronte comune per denunciare «il degrado della sanità pubblica véneta».
Il questionario per gli aspiranti governatori è stato presentato in occasione degli stati generali della salute, durante i quali i medici di gran parte delle sigle sindacali non hanno lesinato critiche e attacchi alla politica, colpevole anche in Veneto di «condizionare le scelte tecniche e meritocratiche con la scusa di esercitare un controllo politico in nome dell’elettorato». «Siamo consapevoli che la politica probabilmente finirà di ascoltarci dopo il voto», si legge nel documento finale sortito dall’incontro di Selvazzano (Padova), «ma continueremo a opporci al degrado della nostra sanità con proposte di miglioramento, augurandoci che vengano salvaguardati i diritti dei malati a essere curati e i diritti dei medici a curare». Fa un certo effetto sentire i medici veneti parlare di degrado della sanità e individuarne le cause, oggetto dei quesiti rivolti ai candidati presidenti: l’invadenza dei partiti nelle scelte sanitarie; l’interesse dei campanili che vince sulla necessità di aggiornare i requisiti minimi organizzativi, tecnologici e funzionali; la politica regionale di scaricare sui medici ogni responsabilità che è madre della medicina difensiva; il blocco delle assunzioni e le liste di attesa sempre più ingolfate; le dimissioni precoci e l’assenza di strutture di lungodegenza e riabilitazione sul territorio, per finire con la formazione continua dei medici.
«Il diritto costituzionale alla salute è subordinato alle esigenze della finanza pubblica», attaccano i medici, «e questo significa perdere pezzi di diritti e veder crescere giorno dopo giorno la platea di malati invisibili cui il taglio dei posti letto in assenza di un adeguato potenziamento dei servizi territoriali, l’allungamento delle liste d’attesa, anche operatorie stanno di fatto negando l’accesso alle cure».
«Una volta il medico veniva giudicato bravo se curava bene gli ammalati e li guariva», argomentano i camici bianchi, «oggi se è stato in grado di rispettare il budget. Nelle riunioni di pianificazione delle attività dei vari reparti non si discute di obiettivi di salute, ma quasi esclusivamente di contenimento dei costi. Si sta perdendo di vista il vero oggetto della medicina; si tenta di ridurre l’atto medico a una semplice erogazione di un servizio».
«Non vogliamo fare catastrofismo in una Regione che nel complesso è ancora tra le migliori», concludono i medici nel documento unitario, «ma i dati dicono che negli ultimi cinque anni il Veneto è retrocesso dal secondo al quinto posto in Italia, che l’accesso ai servizi è sempre più difficoltoso. Le scelte sanitarie vengono fatte a tavolino, sono decisioni squisitamente politiche che devono accontentare un po’ tutti. E i tagli alla sanità li pagano i più deboli».·
P.COL. – L’Arena – 25 aprile 2015