Dice Luca Zaia, presidente del Veneto, che lui vorrebbe tanto avere col governo «un rapporto costruttivo», davvero ce la mette tutta, ma proprio non ce la fa, «è impossibile». Perché «come si fa ad andare d’accordo con chi ogni giorno prova a demolire la tua autonomia, tenta di metterti i bastoni tra le ruote, orchestra per prendersi le tue competenze, oltre che i tuoi soldi, in un vortice neocentralista?». Già, come si fa?
Il risultato è che più o meno ogni due mesi, Zaia porta il Veneto «sulle barricate», deciso a combattere «la madre di tutte le battaglie» (del momento), per usare due espressioni che gli sono care. Comunità montane, ticket sanitari, turismo, tribunali, asili e materne, tesoreria unica, città metropolitana e Province, bus, treni e vaporetti, soldi ai gruppi del consiglio, beni culturali, trivellazioni, «argomenti vari». In cinque anni alla guida della Regione, il presidente ha trascinato il governo davanti alla Corte costituzionale 26 volte, impugnando altrettante leggi approvate, a suo dire, «in danno del Veneto» (l’aumento è esponenziale dopo l’arrivo di Monti a Palazzo Chigi). Con quali risultati? Vediamo.
Innanzitutto un paio di precisazioni. La prima: la Regione può ricorrere alla Consulta per due motivi, perché ritiene che il provvedimento violi la Costituzione, e dunque sia illegittimo, o perché pensa che lo Stato abbia «invaso» i suoi campi d’azione (aspetto che, specie per le competenze concorrenti, genera una litigiosità stellare a cui si vorrebbe rimediare con la riforma in via di approvazione in parlamento). La seconda: spesso la Regione impugna una legge in più punti, il che genera «decisioni» diverse all’interno della stessa sentenza, con l’accoglimento di alcune istanze ed il respingimento di altre. Ebbene, dei 26 ricorsi avviati dal 2010 ad oggi, 12 sono ancora in attesa di udienza (ce ne sono di risalenti al 2013) mentre altri 14 sono arrivati ad un verdetto, per un totale di 35 decisioni diverse: abbiamo contato 23 sconfitte, tra impugnazioni inammissibili, infondate e «non accolte», e 12 vittorie.
Vien da pensare che abbia ragione il senatore del Pd Giorgio Santini, quando dice che «i ricorsi di Zaia» ormai sono come la storia di Pierino e il lupo, così che alla lunga, «un ricorso pretestuoso dietro l’altro, buono solo per avere un titolo sui giornali, il Veneto senza credibilità finisce bistrattato anche quando invece avrebbe ragione» ma l’Avvocatura della Regione non è della stessa idea perché, a quanto pare, alcune decisioni sono «più uguali delle altre» o meglio, vanno pesate e non contate: «Quando impugniamo una legge – spiegano da Palazzo Balbi – la impugniamo in diversi punti, alcuni importanti, altri meno. E se anche ne passa soltanto uno su cinque, significa che comunque abbiamo fatto bene a ricorrere perché c’era qualcosa che non andava».
Se il gioco valga davvero la candela, è difficile da giudicare, ma è un fatto che nella metà dei casi accanto al Veneto c’erano anche altre Regioni, alle volte «rosse» come la Toscana, l’Emilia Romagna o l’Umbria. E comunque pure il governo si è dato parecchio da fare con gli avvocati, visto che sempre dal 2010 ad oggi il ministero per gli Affari regionali ha proposto l’impugnazione di 30 leggi licenziate qui, confermando anche in questo caso la regola della «supremazia» di chi è stato chiamato in causa: su 24 sentenze, infatti, 16 sono state a favore di Palazzo Balbi (segno che il legislatore, che stia nella capitale o in laguna, il più delle volte il suo mestiere lo fa bene).
Ultimo capitolo, i costi. La domiciliazione a Roma costa 4 mila euro a pratica, a cui devono aggiungersi le parcelle degli avvocati che spesso affiancano i legali della Regione (quasi sempre professori dell’università di Padova) che viaggiano mediamente attorno ai 19 mila euro. Fatti due conti, l’eterna lotta tra il Veneto e lo Stato è costata, finora, poco meno di un milione e 300 mila euro.
Il Corriere del Veneto – 19 febbraio 2015