Ignorato dai politici, il Nord Est si rimbocca le maniche senza aspettarsi aiuti da Roma. Con il dubbio che il ricatto e la lamentela paghino
Sono un polentone bagnato appena uscito dalla fanghiglia che ha sommerso gli abitanti di Vicenza, Padova e dintorni causa l’esondazione del Bacchiglione. Migliaia gli sfollati e centinaia le famiglie trasferite nei palazzetti dello sport e arrangiate con le coperte lise dell’ultimo istante. Una silenziosa mobilitazione di persone vittime non solo di piogge cospicue, ma anche della tragica manipolazione umana del territorio e delle campagne, che si rifiutano di drenare gli acquazzoni. Una situazione drammatica dalla quale però non si è levato uno strillo. Non uno strepitio di folla che reclamava vitto e alloggio, imprecando contro lo Stato reo di averli abbandonati. Non una vedova in lacrime e litanie morbose. Non una rampogna contro gli amministratori locali e nazionali. Non un Matrix o un Porta a Porta o un approfondimento rosso. Eppure Bertolaso ha constatato dall’alto dell’elicottero la gravità della situazione con interi paesi come Caldogno sott’acqua e i conseguenti danni incalcolabili alle attività produttive.
Nonostante ciò, né un rappresentante del governo né dell’opposizione sono venuti in Veneto, impegnati come sono a disquisire su temi d’eccellenza come Ruby & C. Nessuno ha chiesto finanziamenti e nessuno men che meno li ha promessi. Il governatore ha timidamente accennato che serviranno denari per la ricostruzione: il Veneto però non ama bussare ai palazzi romani per avere schei. Si vergona, arrossisce. Preferisce rimboccarsi le maniche, olio di gomito e giù a sgobbare per rimettere insieme i cocci della disperazione. Siamo così: un po’ tontoloni, ma grandi lavoratori. Dignitosissimi creduloni, ma non fessi, salvo non si tratti di qualche avvenente moldava. Diamo a Roma senza nulla pretendere. Loro ci pensano cornuti e mazziati, noi, invece, consapevoli della nostra poco corrisposta magnanimità, ci riteniamo «diversamente italiani».
Diversi da quei connazionali che strepitano da settimane fino ad arrivare alla guerriglia urbana perché non solo non si degnano di raccogliere in modo differenziato e civile la loro monnezza, ma non vogliono nemmeno smaltirla in casa propria. L’inceneritore di Padova invece riceve spazzatura campana, ma nessuno dei «diversamente italiani» si è mai sognato di andare in piazza a far baccano. È un modo diverso di essere italiani, prima ancora di tramutarsi goliardicamente in padani. È un modo diverso di rispettare lo Stato e la res publica. Un retaggio del Regno Lombardo-Veneto, un rigurgito della tanta polenta mangiata quando nel dopoguerra eravamo poveri e affamati. Le privazioni insegnano lo spirito di sacrificio e in Veneto abbiamo sempre battuto i denti per il freddo e la fame dall’epoca fascista fino al pentapartito. Poi, con il miracolo Nordest e Berlusconi, abbiamo iniziato ad avere qualche ministro e a toglierci qualche soddisfazione: il Mose a Venezia, il Passante di Mestre e addirittura la linea ferroviaria Venezia-Roma inclusa nella Tav.
Rimarremo sempre però degli inossidabili lavoratori che non amano chiedere perché siamo ingentiliti da quella nobile timidezza a sfondo evangelico che precetta di «non chiedere perché vi sarà dato». Nessuno però darà nulla ai veneti che assistono increduli a D’Alema che interrogherà il Cavaliere sulle sue sveltine, ma non si preoccupa di centinaia e centinaia di fabbriche in malora e di operai senza tetto. Al ministro dell’Interno che rassicura gli italiani sui destini di Ruby, ma non spende una parola per migliaia di padani sfollati.
Sul Veneto è calato il silenzio della politica a corto di moneta. Hanno ragione allora i napoletani a scatenare l’inferno a Terzigno: con il ricatto ottengono denari e promesse. Il premier corre a Napoli per rassicurarla e la monnezza in eccesso arriva a Padova. Il mio allenatore Mario diceva sempre: «È vent’anni che magno risi e bisi, perché me chiamate ancora terrone?». Forse ora l’ha capito anche lui…
Matteo Mion – Il Giornale
5 novembre 2010