Il Corriere del Veneto. Mentre l’Oms sceglie la prudenza e non si decide a dichiarare la fine della pandemia da Sars-Cov2, il ministero della Salute si prepara ad ammorbidire anche le ultime misure di contenimento. Il 30 aprile cadrà l’obbligo di mascherina in ospedale, negli altri presidi sanitari e nelle Rsa, strutture nelle quali una circolare in arrivo dovrebbe però prorogarlo per personale e parenti in visita a partire dal primo maggio. Lo stesso varrà per i reparti di Lungodegenza e Riabilitazione, mentre al Pronto Soccorso saranno obbligati a indossare la mascherina solo i pazienti con sintomi respiratori e contatti, quindi sanitari, familiari e altri utenti. Per il resto il ministero della Salute dovrebbe solo «raccomandare» l’uso del dispositivo di protezione in presenza di anziani, fragili e immunodepressi, lasciando la decisione finale ai direttori sanitari dei singoli ospedali, ai direttori medici degli ambulatori territoriali, ai dottori di famiglia e ai pediatri di libera scelta per studi e sale d’attesa.
La nuova variante
Ma come si presenta oggi la situazione Covid nel Veneto? La novità è l’arrivo di Arcturus, ribattezzata «Arturo», l’ultima variante di Omicron, da 1,17 a 1,27 volte più contagiosa di Kraken ma non più pericolosa. I primi due casi sono stati sequenziati dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie a Vicenza e a Venezia, però non alterano un quadro sostanzialmente stabile. Giovedì la Regione ha registrato 4 vittime e 700 nuovi contagi e 16.253 «attualmente positivi» al virus (346 in più rispetto alle 24 ore precedenti), tra cui 309 bambini fino a 14 anni. C’è un altro ricovero in area medica, che ne conta 897, mentre restano 29 i degenti in Terapia intensiva. Dall’inizio della pandemia nel Veneto si sono verificati 2.718.877 contagi e 16.804 decessi. Stando all’ultimo report diffuso da Azienda Zero per quanto riguarda i contagi le più colpite sono le donne tra 45 e 64 anni, mentre i ricoverati sono soprattutto over 85. Le curve dell’infezione sono comunque in calo in tutte le fasce d’età. «È una fotografia che non desta preoccupazione — conferma Manuela Lanzarin, assessore alla Sanità — ma la macchina organizzativa non si ferma, l’abbiamo solo ritarata sulla base della nuova situazione epidemiologica. Non ci sono più i Covid Hospital, perché il numero di pazienti non è così ingente da richiederli, e nemmeno intere aree dedicate all’interno degli ospedali generalisti. Oggi ciascun reparto gestisce eventuali pazienti infetti all’interno di bolle, cioè li isola dagli altri degenti. Non è più obbligatorio lo screening sul personale sanitario e delle Rsa, nè sui degenti di queste ultime. In caso di necessità viene disposto dal direttore medico, così come dal responsabile di reparto ospedaliero». Nell’ultima settimana sono stati infettati 125 sanitari.
I punti tampone
Passando al territorio restano uno o più punti tampone per Usl (per esempio l’Usl Dolomiti ne ha tre), utili per esempio a sancire la fine della quarantena oppure a viaggiatori e stranieri, o a persone tenute a farlo per lavorare. Chiusi invece gli hub vaccinali. Oggi è possibile assumere l’anti-Covid negli ambulatori dei Servizi di Igiene pubblica e nei centri destinati dalle aziende sanitarie a tutte le vaccinazioni. E in questo momento prevalgono quelle rimandate causa pandemia, in primo luogo le vaccinazioni dell’infanzia e poi le formulazioni contro papilloma virus, meningocco, pneumococco. «Sono davvero poche le richieste di vaccino contro il Sars-Cov2 — conferma il dottor Sandro Cinquetti, direttore della Prevenzione all’Usl Dolomiti — parliamo di due o tre casi ogni tanto. Sono soprattutto anziani desiderosi di assumere la terza o la quarta dose e adulti che necessitano dell’intero ciclo o dei richiami per lavoro o per trasferte in Paesi in cui la protezione dal Covid è richiesta».
La fotografia negli ospedali
Situazione tranquilla pure negli ospedali, che si organizzano a seconda della necessità. Al Ca’ Foncello di Treviso ci sono letti Covid agli Infettivi, uno in Pneumologia e altri sono attivabili in Terapia intensiva; a Trecenta ce ne sono agli Infettivi e in Medicina; in Azienda ospedaliera a Verona agli Infettivi, a Venezia in Medicina; al San Bortolo di Vicenza 4 posti letto sono riservati in Pneumologia, 8 in Geriatria, all’occorrenza altri in Malattie infettive. E poi ce ne sono 8 nel presidio di Valdagno. «Ricoveriamo prevalentemente anziani fragili e pazienti già immunodepressi, come quelli colpiti da malattie del sangue — riferisce il dottor Paolo Rosi, coordinatore del Centro regionale urgenza-emergenza (Creu) e responsabile del monitoraggio sulle Terapie intensive —. La maggioranza è risultata positiva al tampone obbligatorio per il ricovero. Restano comunque letti dedicati nelle Malattie infettive, oltre ai 190 di Terapia intensiva del Creu già allestiti e dotati di attrezzature. Ora non utilizzati ma pronti anche per calamità naturali, terremoti, incidenti. Si sommano ai 500 in dotazione ordinaria ai quali siamo tornati». Le Malattie infettive degli ospedali capoluogo dall’inizio dell’emergenza non hanno trascorso molti giorni senza accogliere pazienti colpiti dal virus: a Verona non è mai successo. Ma oggi la maggioranza è definita «Covid per caso», cioè ricoverati per altre malattie e risultati positivi al tampone di ingresso in ospedale. «Nelle ultime ore è arrivato un uomo che nemmeno sapeva di aver contratto il virus — conferma il dottor Vinicio Manfrin, primario di Malattie infettive a Vicenza — aveva avuto un po’ di febbre domenica e l’abbiamo intercettato al ricovero. In ospedale i pazienti Covid ci sono sempre stati ma adesso non vediamo più le polmoniti delle prime ondate della pandemia. Il Covid continua ad essere grave, e anche mortale, per i pazienti oncoematologici, benché vaccinati».