Mangeremo solo pillole, come i Pronipoti del cartone animato Hanna&Barbera. La crescente richiesta di carne delle nazioni in crescita ci costringerà a nutrirci di insetti, con le loro proteine a buon mercato, come l’Onu già sollecita. I marchi Doc e Dop saranno inghiottiti dalla globalizzazione… Il cibo del futuro è come la società del futuro: è facile immaginarlo come una distopia, dove il principio di piacere e secoli di cultura alimentare soccombono alla necessità di nutrire un mondo che ha sempre più bocche da sfamare.
«E invece no. Mangiare è un atto culturale: è discutendone a tavolino che si evitano questi scenari. E a pochi mesi dall’Expo, il cui tema è “nutrire il pianeta”, bisogna studiare proposte per nutrirlo, sì, ma non a qualsiasi condizione».
Così Andrea Mascaretti, 49 anni, presenta il «suo» Salone internazionale della Ricerca, Innovazione e Sicurezza alimentare: tre giorni di convegni alla Società Umanitaria di Milano da oggi al 17 ottobre (più incontri paralleli a Roma e Napoli; programma su salonecibosicuro.it) con 150 relatori, 14 convegni e una ventina di seminari per scuole e famiglie. Il comitato tecnico-scientifico, che Mascaretti presiede, lavora per presentare all’Expo «vari lavori preliminari: tra i principali, un documento redatto insieme alla Fao sulle possibilità dell’entomofagia».
Cioè, e al Salone se ne discute domani, del mangiare insetti: una fonte economica di proteine — 63 grammi, ad esempio, su 100 di tarantole secche, contro i 26 su 100 del bovino; e valori simili in tutte le quasi duemila specie che già si mangiano in paesi come Cina e Messico — che però, nell’Europa della chianina e del boeuf bourguignon, suona più come uno spauracchio che come una risorsa. «Ma non dobbiamo pensare che di botto siamo costretti a mettere in tavola piatti di cavallette — spiega Mascaretti —. La rivoluzione può iniziare dai mangimi. Oppure si possono estrarre sostanze dagli insetti per farne additivi, farmaceutici o alimentari. O addirittura farne farine iperproteiche per arricchire diete povere di proteine come quelle del Terzo Mondo». In Europa, per ora, è difficile investirci: «C’è un vuoto legislativo, e allevare insetti per l’alimentazione è impossibile».
Ma anche perché il disgusto all’idea di addentare un ragno è, per ora, «duro da sradicare. Sarebbe razionale, ma la ragione, sul gusto e sul sesso non incide». Così lo psicologo sociale Giuseppe Mantovani spiega — e lo fa anche al Salone, al convegno «L’insetto nel piatto» di domattina — perché «nessun marketing ci farà mai piacere gli insetti: il cambiamento sarà piuttosto come il veganesimo, impensabile trent’anni fa e oggi di moda, grazie alle elite che lo hanno importato. L’importante è non fondare su questo tabù una pretesa superiorità sugli altri paesi. Oggi dagli “altri” abbiamo da imparare».
Che finora, invece, siano gli «altri» a copiare il cibo italiano, in un mercato di finti parmigiani e prosciutti crudi più robusto di quello degli originali, è un altro tema «nel piatto» all’Umanitaria: ad aprire i lavori oggi c’è (anche) il presidente del Consorzio Grana Padano Stefano Berni, che racconta come il 18% dei formaggi da grattugiare venduti in Italia abbia un nome simile a Parmigiano o Grana, ma sia tutt’altro. «E nel mondo è il 60%. Sono inganni legali: le norme Ue permettono di non scrivere in etichetta dove un cibo è stato prodotto, equiparando prosciutti dell’Est al crudo italiano». «Ma gli anticorpi ci sono: il nostro sistema antifrodi, con 32 enti di controllo — dai Nas ai Consorzi agroalimentari — è il più efficiente al mondo», spiega Mascaretti.
E proprio l’Italia del parmigiano, paradossalmente, lavora verso un’altra utopia (o incubo) futuribile: il «pasto dell’astronauta», fatto di pillole e beveroni. Che fa risparmiare tempo a tavola e ai fornelli e, arricchito di sostanze curative, abbassa colesterolo, glicemia e pressione. Impensabile che abbia successo? «Macché. Gli sportivi, anche amatoriali, cercano già alternative leggere al cibo: barrette, liofilizzati», spiega Cesare Sirtori, relatore venerdì pomeriggio e presidente della Società Italiana Nutraceutica, un settore a metà tra alimentari e farmaci che in Italia porta già il 30% del fatturato delle farmacie. Esempi di «nutraceutici»? La curcumina, estratta dal curry, «che aiuta a prevenire l’Alzheimer, laddove i farmaci hanno fallito»; un cioccolato amaro «che abbassa la pressione, in particolari formule già vendute in Svizzera»; probiotici simili a quelli dello yogurt che somministrati ai neonati combattono l’autismo. Alimenti funzionali: e la convivialità? «C’è chi preferisce mangiare in fretta e sentirsi bene. Inoltre il gusto dei preparati è sempre migliore: le barrette anticolesterolo italiane, ad esempio, sono efficaci il doppio di quelle tedesche. Perché? Sono più buone. E i pazienti non le mollano».
Il Corriere della Sera – 15 ottobre 2014