La storia infinita delle «Valvole Killer», le valvole cardiache impiantate dall’Azienda Ospedaliera di Padova tra il 1999 e il 2002 nel petto di decine e decine di pazienti, scrive un nuovo, ennesimo, capitolo.
A farlo sono tre giudici del Tribunale civile di Padova che ognuno con la propria formula hanno accolto – chi in parte, chi in toto – le quattordici istanze dell’avvocato Alvise Fontanin e congelato la restituzione da parte dei pazienti o dei loro familiari di quei risarcimenti danni ottenuti come provvisionale immediatamente esecutiva (il 30% dell’intera somma) dopo la condanna in primo grado del principale imputato, il professor Dino Casarotto, ex direttore del centro cardochirurgico «Gallucci» accusato di corruzione, lesioni colpose e omicidio colposo per le morti di Antonio Benvegnù e di Enzo Barbetta, entrambe causate dalla rottura della valvola cardiaca. Risarcimenti che l’Azienda Ospedaliera aveva poi chiesto indietro facendo leva sull’assoluzione del primario in Cassazione. Ma quella del congelamento dei risarcimenti non è l’unica novità stabilita dai tre giudici che stanno valutando separatamente le varie cause incardinate al tribunale della città del Santo. Perché per otto dei casi appellati è stato chiamato a risponderne civilmente anche lo stesso primario Dino Casarotto. Se l’ospedale debba mollare la presa sulla richiesta di restituzione dei risarcimenti e quindi pagare anche il resto; se Dino Casarotto debba partecipare al conguaglio (in solido con l’Azienda Ospedaliera); o se tutto debba rimanere così, e quindi via libera al rientro di quei soldi nella casse dell’ospedale, lo si deciderà con l’ennesimo processo civile fissato in agenda il 23 gennaio. E anche il destino c’ha messo del suo. Perché il 23 gennaio è la stessa data riportata nella lettera scritta alle vittime e ai familiari dall’ex direttore generale dell’Azienda Ospedaliera di Padova Adriano Cestrone, con cui si faceva «diffida» a «restituire la somma comprensiva di interessi legali calcolati dall’1 agosto 2009 all’1 gennaio 2012, entro il 29 febbraio 2012», sulla scorta della sentenza con cui la Suprema Corte il 4 maggio 2011 faceva calare il sipario sul processo penale, assolvendo in maniera definitiva il professore Casarotto dalle accuse di duplice omicidio colposo e lesioni colpose con la formula del «fatto non costituisce reato», confermando la prescrizione per la corruzione e revocando le statuizioni civili disposte in primo grado, ovvero quel famoso anticipo del 30% di cui nel gennaio dell’anno scorso l’Azienda aveva chiesto la restituzione.
Ma siccome solo in pochi avevano risposto presente, nel settembre dello stesso anno lo stesso Cestrone metteva nero su bianco una delibera con cui lamentando un danno erariale dava mandato allo studio legale dell’Azienda di recuperare le somme attraverso dei decreti ingiuntivi controfirmati a inizio 2013 dal Tribunale di Padova, e ora in parte congelati. «Qualsiasi altra persona avrebbe fatto la stessa cosa che ho fatto io chiedendo indietro i soldi – spiega l’ex direttore generale Adriano Cestrone -. Le parti civili nel processo penale avevano firmato l’accordo per ottenere un acconto da restituire in caso di assoluzione di Casarotto. La Corte dei conti questi soldi li avrebbe chiesti a me, non si poteva fare diversamente». E sulla chiamata in causa di Casarotto, Cestrone chiarisce che «in qualsiasi caso un medico crei un danno, c’è la corresponsabilità in solido: è normale».
Nicola Munaro – Corriere del Veneto – 5 novembre 2013