Di Alberto Mingardi. Lo sviluppo del vaccino anti-Covid, in dieci mesi da quando il nuovo coronavirus è entrato nelle nostre vite, ha del miracoloso. Come si finanziano innovazioni simili? Il costo di sviluppo è assai elevato (dai due ai cinque miliardi di dollari). Il vaccino viene però somministrato una sola volta, a differenza dei farmaci che rappresentano un consumo ricorrente. Si è parlato nei mesi scorsi di «vaccino bene comune», ma è difficile immaginare che si possa indebolire la protezione brevettuale su un prodotto di questo tipo.
L’ECONOMIA, IL CORRIERE DELLA SERA. Lo stesso concetto di «proprietà intellettuale» è oggetto di analisi severe: si tratta, di fatto, di un monopolio a tempo, che inibisce la concorrenza.Ma conferire il diritto all’estrazione di una rendita da una certa scoperta è la contropartita della «pubblicità» di quella stessa scoperta. Ridurre la tutela della proprietà intellettuali, a partita delle altre condizioni, può diminuire l’incentivo a fare ricerca e quindi rendere meno probabile la disponibilità stessa del vaccino.
Pfizer/BioNTech e Moderna hanno realizzato per la prima volta due vaccini a RNA messaggero (anziché iniettare negli esseri umani il virus in forma attenuata, si «istruisce» la stessa biologia umana a produrre la proteina «spike» del virus, così che il sistema immunitario la identifichi e la elimini come un corpo estraneo), che rappresentano un avanzamento tecnologico atteso da anni. Sarebbe stato possibile, senza tutela brevettuale?
Ci sono delle alternative. Gli economisti spiegano che la ricerca può essere sostenuta dalla spesa pubblica oppure attraverso premi: il premio, molto ricco, va al primo arrivato ma poi gli esiti della sua ricerca sono liberamente riproducibili da tutti gli altri. Quest’ultimo è un sistema caro a Tyler Cowen e Alex Tabarrok, gli economisti che animano il blog MarginalRevolution. Per ora è difficile immaginarne l’adozione su larga scala.
Finanziamenti…
Il governo americano ha messo a disposizione risorse ingenti, attraverso la sua «Operation WarpSpeed», per accelerare la ricerca, riducendo il rischio per le imprese produttrici e garantendosi dosi future. Pfizer ha preferito non farne uso. Ha sottoscritto, dopo, un contratto per fornire al governo Usa 100 milioni di dosi al costo di 1,95 miliardi. Gli entusiasti dello Stato imprenditore hanno sottolineato come a ricevere fondi pubblici, per circa 400 milioni di euro, sia stata la partner tedesca di Pfizer, BioNTech. Ma è opportuno ricordare che sono quattrini arrivati a settembre, per accelerare un processo già avviato. Nella corsa al vaccino, lo Stato è un importantissimo acquirente anche perché, per definizione, è un po’ ovunque l’unico soggetto titolato a comprare vaccini. Non ha però «diretto» o «indirizzato» l’attività di ricerca.
Nessuna delle aziende in corsa, come ha sottolineato Scott Lincicome, del Cato Institute, è immaginabile senza quelle infrastrutture complesse che sono i mercati di capitale. Moderna nasce all’interno di un incubatore di Boston, Flagship Pioneering, ha aperto i battenti nel 2012 dopo aver raccolto 40 milioni da fondi di venture capital, è passata poi per diversi round di raccolta di capitale, ha vinto un grant della Fondazione Gates per sviluppare una terapia basata sull’RNA messaggero per il trattamento dell’HIV ed è stata quotata nel 2008. BioNTech è diventata una società di 1800 persone grazie a fondi privati che ne hanno valutato le prospettive e hanno scommesso sui suoi progetti, per poi quotarsi anche’essa. Pfizer è una gigantesca multinazionale che con risorse proprie ha potuto finanziare i circa due miliardi necessari a test e produzione del vaccino.
La sfida dell’immunizzazione contro il coronavirus, ovviamente, è appena iniziata. Il vaccino Pfizer/BioNTech deve essere conservato a temperature molto basse, -70 gradi. Ciò rappresenta una sfida importante per la logistica e la distribuzione: a quella sfida si dedicano già ora le aviolinee e operatori come UPS. Dovranno operare in stretto coordinamento con gli aeroporti, individuando di volta in volta gli hub per raggiungere al meglio le diverse aree del globo. Di fronte a una domanda così elevata, si stanno sviluppando accordi con aziende locali, ma la selezione di queste ultime è complessa, dal momento che dovranno realizzare un prodotto del tutto nuovo, come i vaccini a RNA messaggero. Queste decisioni debbono basarsi sulla conoscenza di circostanze concrete che sfuggono alla visione panoramica dei Ministeri.
…E strategie d’impiego
Il fatto che gli Stati siano i grandi acquirenti dei vaccini crea però un altro problema. Essi dovranno identificare chi siano i destinatari cui dare priorità e poi organizzarne la distribuzione secondo quel criterio e non sulla base di ragioni politiche. Per ora in Europa abbiamo discusso di «vaccinazioni simboliche», per tacitare gli scettici. Un gruppo di biostatistici del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle ha suggerito che, se il vaccino ha un’efficacia alta e se c’è la ragionevole aspettativa di riuscire a vaccinare il 40-50 per cento della popolazione, la priorità vada data a coloro che hanno più probabilità di trasmettere il virus: cioè gli under 50. Vaccinandoli si proteggono loro e coloro che contagerebbero. Questa è la strategia dell’Indonesia, che ha scelto di cominciare dalla popolazione attiva.
E invece nel caso di un vaccino con efficacia bassa avrebbe senso cominciare dai «vulnerabili», partendo dai più anziani. Da quel che è dato capire, il nostro governo userà un vaccino molto efficace adottando la strategia che sarebbe la migliore con un vaccino poco efficace. La scienza ha fatto un miracolo, ma non è scontato che sapremo farne l’uso migliore possibile.