Beniamino Bonardi. La Federazione dei produttori di latte di mucca statunitensi (National Milk Producers Federation) ha chiesto alla Food and Drug Administration (FDA) di intervenire in difesa dei consumatori e degli allevatori, facendo rispettare la definizione ufficiale di “latte” che risale agli anni ’30 e che si riferisce solo alla secrezione di una ghiandola mammaria.
I produttori di latte vaccino, appoggiati in modo bipartisan da 32 deputati del Congresso Usa, vogliono che non sia più consentito definire “latte” i prodotti derivanti da vegetali come soia, mandorle, riso, canapa, pistacchi, noci macadamia e semi di girasole, perché hanno sostanze nutritive diverse da quelle del latte di origine animale, l’unico che può essere chiamato in questo modo.
In un periodo di crisi del settore lattiero-caseario, i produttori di latte di vacca e i deputati che li appoggiano lamentano la confusione che si è determinata nel settore del latte, che esporrebbe i consumatori a denominazioni fuorvianti rispetto al valore nutrizionale dei vari prodotti nell’ambito del fenomeno del latte vegetale.
I produttori del settore lattiero-caseario Usa chiedono che si prenda ad esempio la regolamentazione dell’Unione europea, che sulle confezioni dei prodotti di origine vegetale consente l’utilizzo della terminologia “bevanda di” ma vieta quella “latte di”.
Come riferisce il sito Food Navigator Usa, però, la questione dei latti vegetali è già stata esaminata a livello giudiziario nel 2015, quando un giudice ha archiviato un ricorso contro un produttore di latte di soia, sostenendo che nessun consumatore ragionevole può confondere questo prodotto con il latte di origine animale. Inoltre, secondo il giudice, la definizione di “latte” della FDA non esclude che si possano chiamare altri prodotti come “latte di soia”, “latte di mandorla”, o altro, perché questi termini li distinguono chiaramente dal latte derivato dalle mucche.
Il Fatto alimentare – 10 gennaio 2017