David Quammen, dunque non fu Dugas a portare il virus in America. Ma si potrà risalire al primo vero caso di Aids in Occidente? «Lo studio di Worobey ci dice che l’Hiv arrivò nel 1970 dai Caraibi, forse portato da una sola persona. La cui identità, però, è probabile che rimarrà per sempre sconosciuta. Così come non sapremo mai il nome del vero “paziente zero”, la persona che si infettò, nel sudest del Camerun, intorno al 1908, probabilmente mangiando carne di scimpanzè ».
Perché è importante questa nuova ricerca?
«Aggiunge prove e dettagli fondamentali per capire quando il virus arrivò negli Usa. E smonta definitivamente il mito che Gaetan Dugas, etichettato per errore “paziente zero”, sia stato il primo caso di Hiv in America, o anche solo che abbia giocato un ruolo importante nella diffusione iniziale del virus a New York e in California. Quel mito era stato già confutato in alcune pubblicazioni scientifiche, e in alcuni libri, compreso il mio Spillover, ma il nuovo studio fa chiarezza assoluta. Secondo il team di Michael Worobey, l’Hiv cominciò a diffondersi a New York dal 1970, cioè ben prima che Gaetan Dugas, nato nel 1953, fosse sessualmente attivo e parte delle comunità gay newyorkese e californiana».
Questa nuova ricostruzione comporta anche una revisione del ruolo che la comunità gay americana ebbe nella diffusione del virus?
«Di sicuro ci dice che la demonizzazione di Dugas come “paziente zero” fu sbagliata e fuorviante. Il libro di Randy Shilts And the band played on, in cui si racconta la storia dello steward canadese e la sua eco sulla stampa mondiale, influenzò il modo in cui tante persone cominciarono a guardare alla comunità omosessuale americana. Il nuovo studio è molto sobrio nel ricostruire la diffusione dell’epidemia senza esprimere giudizi sui comportamenti sessuali. E questo non può che essere positivo».
Ma se un virus letale come quello dell’Hiv è arrivato in America nel 1970 perché nessuno se ne accorse fino al 1981?
«All’epoca l’Hiv era molto misterioso e completamente nuovo per gli scienziati. Provocava molti sintomi diversi e aveva un’azione relativamente lenta. Questo può aver contribuito al fatto che non sia stato individuato immediatamente. Infine, la sua diffusione senza che nessuno se ne accorgesse può anche dipendere dal fatto che forse la comunità gay di New York fosse poco assistista dal servizio sanitario».
Va riscritta anche la storia della diffusione del virus, il suo passaggio da una specie animale all’essere umano, quello “spillover” (travaso) che dà il titolo al suo libro?
«No. La storia della diffusione dell’Hiv fondamentalmente non cambia rispetto a come l’ho raccontata in Spillover ».
Perché è così importante riscostruire le vicende legate all’Hiv e alla sua diffusione?
«Perché quel virus ha già ucciso 35 milioni di persone e perché, come altri dopo di lui, è passato dagli animali agli esseri umani. Per potersi difendere è cruciale capire come avviene lo “spillover” dall’animale all’uomo e il successivo contagio tra le persone ».
Alla luce di queste notizie dovrà aggiungere un nuovo capitolo al suo best seller Spillover?
«Non è necessario. Il libro offre il contesto in cui inquadrare e comprendere gli ultimi risultati pubblicati su Nature. Tra l’altro, Michael Worobey fu una delle mie fonti principali nella stesura del capitolo dedicato all’Hiv ».
FORSE A QUESTO punto non sapremo mai chi fu davvero il paziente zero dell’Hiv». David Quammen, scrittore e giornalista americano, autore di reportage per il National Geographic e del saggio Spillover (Adelphi, una straordinaria ricostruzione di come alcuni dei più temibili virus (Ebola, Sars, Hiv appunto) siano passati dagli animali all’uomo prima di scatenare epidemie con milioni di morti, commenta così l’articolo pubblicato pochi giorni fa su
Nature. I ricercatori dell’università dell’Arizona, guidati da Michael Worobey, hanno seguito le tracce genetiche del virus, concludendo che dall’Africa approdò negli Usa, dopo essere passato per i Caraibi, nei primi anni Settanta. “Scagionando” così Gaetan Dugas, lo steward canadese, passato alla storia come il “paziente zero” dell’Hiv.
Repubblica – 29 novembre 2016