Non ci voleva l’Istat a farci capire che siamo in crisi. Però il dato di ieri è importante: con due trimestri di fila di crescita negativa del Pil l’Italia è ufficialmente in recessione, -0,2 nel terzo trimestre 2011 e -0,7 nel quarto.
Di momenti difficili nella storia recente ce ne sono tanti, ma di recessioni tecniche, cioè con due trimestri negativi in successione, molte meno. L’ultima recessione è assai recente, comincia nella prima vera del 2008 con un scivolamento del Pil dello 0,8 rispetto al trimestre precedente e continua fino all’estate del 2009 quando si rivede il segno positivo ( 0,4. Ma già il trimestre successivo c’era un -0,2. Quella da cui stavamo uscendo, senza esserci davvero ripresi, era la più grave recessione della storia recente. Finora. Ci sono due termini di paragone: quella seguita allo shock petrolifero, tra 1974 e 1975, e quella del 1992-1993, quando la crisi di finanza pubblica si è combinata con shock valutari. Si è trattato di recessioni relativamente brevi, tre trimestri la prima, sei la seconda. Quella del 2008-2009 è durata cinque trimestri. Ma è stata più violenta delle precedenti: nel 74-75 abbiamo perso il 3,8 per cento del Pil rispetto ai punti di picco, nel ’92-’93 del-1’1,9 per cento. Nel giro di due anni, comunque, si tornava ai livelli pre-crisi e la crescita poteva continuare. Questa volta non sta andando affatto così: a due anni abbondanti dalla fine della recessione siamo ancora sei punti percentuali di Pil sotto i livelli del 2007. E invece che recuperare il terreno perduto stiamo iniziando una nuova discesa. Quando ripida? Difficile dirlo, ma i dati diffusi pochi giorni fa dall’Istat sulla produzione industriale fanno temere per il peggio. Le stime ufficiali parlano di una recessione con un Pil a -1,4 o -1,5 per cento. Ma l’industria sta collassando: tra gennaio 2012 e dicembre 201 1 si è registrato un calo della produzione del 2,5 per cento mentre su base annua, cioè per l’intero 2012, ci si aspetta un disastro da -5 per cento. E assai improbabile che con un’industria in queste condizioni il Pil scenda soltanto di un punto o poco più. Nel 2009 una ricerca della Banca d’Italia (di Antonio Bassanetti, Martina Cecioni, Andrea Nobili e Giordano Zevi) spiega perché siamo più fragili di una volta quando arrivano le recessioni: i redditi delle famiglie sono fermi dagli anni Novanta, forte calo degli investimenti da parte delle imprese (nel 2009 la riduzione era già superiore a quella degli anni Settanta e analogo a quello del ’92-’93) e so- prattutto crescita piatta anche nei momenti buoni: tra 2003 e 2007 il Pil è cresciuto a un tasso di meno della metà rispetto al periodo 1988-1992 e pari a un quarto degli anni 1970-1974. Questa volta ci sono tre problemi ulteriori: la crisi europea, la stretta nel settore del credito (che nelle recessioni passate era stata tenue e passeggera) e le misure di austerità imposte prima dal governo Berlusconi e poi da quello Monti. Se in altri tempi c’era almeno la speranza che le cose potessero migliorare dopo aver sofferto per un po’, oggi è diverso. Lo dimostra un dato: i primi consumi a crollare in tempo di crisi sono i beni durevoli, tipo le automobili e le lavatrici, ma se le famiglie sono davvero preoccupate rinunciano anche ai beni cosiddetti “semi-durevoli”, categoria che comprende dai vestiti ai libri. Nella recessione 1974-1975 il consumo dei beni semidurevoli scende del 4,4 per cento, nel ’92-93 del 7,3 per cento, tra 2008 e 2009 del 9,5 per cento. Nel 2012 si prevede, rispetto al 2011, un calo della stessa entità (-3,1 e -3,2) di beni durevoli e non durevoli, con questi ultimi che includono i prodotti alimentari. E questo è il segno dei tempi: senza semplificare troppo, si può dire che gli italiani ridurranno nelle stesse proporzioni l’acquisto di auto e di cibo. Nessuno ha molte idee su come invertire la tendenza.
Il Fatto quotidiano – 13 marzo 2012