Watson, il super computer della Ibm, comincia a vedere. E si sta interessando di medicina studiando per lo più radiografie. Migliaia di radiografie. Fa diagnosi, si spinge fino ad individuare una cura possibile.
Non è in un luogo fisico preciso, né ha la forma che aveva quando nel 2011 partecipò al quiz show Jeopardy rispondendo correttamente a tutte le domande e battendo così gli altri concorrenti. L’erede di Deep Blue, altro super computer che sconfisse a scacchi Garry Kasparov nel 1997, ha la sua potenza di calcolo sparsa in alcuni data center in giro per il mondo. Ha acquisto un nuovo senso, la vista appunto, ma l’intelligenza che la guida è retta da alcuni algoritmi che gli consentono di distinguere i margini delle cose: la differenza fra due oggetti, un singolo tratto in un disegno, oppure quella fra due tessuti in una radiografia. «Ecco come riesce ad individuare un tumore», racconta nel centro di ricerca della Ibm di Zurigo la ricercatrice Flora Gilboa-Salomon. «E lo fa con precisione perché confronta in tempo reale quel che vede con un archivio sempre più vasto di altre radiografie, capendo immediatamente se si trova davanti a un problema ed eventualmente quale è stato il trattamento più efficace per rimuoverlo».
Basta un pc qualunque per consultarlo e le radiografie, le risonanze magnetiche o le mammografie, si possono inviare al sistema come si fa con un’immagine a un qualsiasi servizio cloud dove si conservano le proprie fotografie. Ma il vero punto di forza è il catalogo di cartelle mediche in mano alla Ibm da agosto grazie all’acquisizione per un miliardo di dollari della Merge, la stessa che ha messo a punto una piattaforma per l’elaborazione delle immagini legate alla medicina usata in oltre settemila e cinquecento strutture negli Stati Uniti fra cliniche e ospedali. «Le tecnologie basate sul deep learning , che consentono alle macchine di guardare il mondo, trarre un senso dalle cose e apprendere dall’esperienza, hanno bisogno di una grande quantità di dati per arrivare ad una conclusione », racconta Alessandro Curioni, vice presidente Ibm, a capo del centro di ricerca di Zurigo. La sua azienda non è la sola che sta esplorando questa frontiera. Forme di elaborazione cognitiva sono usate per le traduzioni istantanee da Google e da Microsoft mentre Facebook sta puntando al riconoscimento delle espressioni del volto. E la Nvidia usa le stesse tecnologie per dotare i veicoli del prossimo futuro di una intelligenza artificiale capace di prendere decisioni complesse nel traffico in una frazione di secondo. Ma qui parliamo di diagnosi mediche e della riduzione del margine di errore nell’individuare un cancro.
«L’idea è di farlo diventare una presenza in ospedale», prosegue Flora Gilboa-Salomon. «E per riuscirci Watson deve integrarsi con i ritmi e i metodi di lavoro di un pronto soccorso. Deve essere in grado di leggere all’istante le cartelle cliniche. E deve saperle interpretare. Così come deve saper convertire quel che ha visto in una ecografia in testo, in una diagnosi completa e in una ipotesi di trattamento».
Ma quanto è bravo Watson come dottore? Sembra che riesca a individuare nell’80 per cento dei casi. E più apprende e più diventa abile. Soprattutto, non si stanca. I radiologi in condizioni ottimali hanno un margine di errore del 30 per cento. Il problema però è che la loro capacità scema con la fatica. «Non si tratta di sostituire i medici o i radiologi», precisa Georgs Langs, della Facoltà di Medicina dell’Università di Vienna, dove stanno collaborando con la Ibm e con Watson. «Ma ci sono reparti che devono controllare 250 radiografie al giorno e chiunque, anche il più bravo specialista, non può avere lo stesso livello di attenzione dopo ore di lavoro».
Attualmente soltanto la facoltà di Medicina dell’Università di Vienna lo sta provando sul campo. Il progetto è quella cominciare ad impiegarlo seriamente a partire dal 2017.
Nel frattempo Watson continua a studiare, guardando il mondo attraverso i suoi occhi aperti nei centri di ricerca di Zurigo, New York e Haifa. Allargando via via il suo campo e occupandosi di uno spettro di malattie sempre più ampio. Tra due anni si comincerà con gli ecocardiogrammi, individuando malfunzioni complicate da trovare per un occhio nudo. «È uno dei segni dell’era cognitiva delle macchine », conclude Curioni. «Segue quella dei tabulati di inizio secolo e quella della programmazione che ha dominato fino ad oggi».
Con un ventaglio di applicazioni possibili incredibilmente ampia, tra i quali la medicina è solo una delle tante.
Repubblica – 16 ottobre 2015