Nicola Pinna. Può sembrare un grande paradosso: il salvatore delle api è un parassita molto aggressivo. Nemico giurato dell’altro insetto che in cinque anni ha devastato gli eucaliptus di tutta Italia e mandato in crisi l’attività degli alveari.
L’inquinamento e i pesticidi, si sapeva, stanno decimando le api ma a fare i danni maggiori sono stati alcuni animaletti che gli studiosi chiamano «fitofagi». Per colpa loro sugli alberi non sbocciano più i fiori e così le api non sono in grado di produrre il loro nettare.
Il risultato? Tra non molto rischiamo di restare senza miele. Una soluzione ci sarebbe e sarebbe addirittura naturale. Una battaglia tra insetti che salverebbe il lavoro delle api, le regine dei nostri giardini. Ma c’è un grande problema: «Il parassita dovrebbe essere importato dall’estero e poi utilizzato per la campagna in difesa degli eucaliputs – spiega il professor Ignazio Floris , docente di entomologia ed esperto di apicoltura dell’Università di Sassari – In Italia, però, non si possono far entrare animali esotici vivi».
Il salvatore delle api per il momento deve restare fuori dalla frontiera e nel frattempo nelle arnie si fa molta fatica. «Il parassita che prende di mira gli eucaliptus è di origine australiana si è diffuso in Italia passando dalla Sicilia e nel giro di poco tempo si è scatenato in tutte le regioni – racconta il professor Virgilio Caleca, docente di Entomologia all’Università di Palermo – I danni sono stati ingenti. Oltre ai impedire la fioritura, questi fitofagi provocano un altro effetto: lasciano nelle piante una sostanza che si chiama “melata” che viene raccolta dalle api e finisce per danneggiare il miele».
Le povere api, dunque, se la passano davvero molto male e gli apicoltori soffrono di conseguenza.
In Italia sono circa 70 mila e gestiscono più di un milione di alveari. Il calo della produzione è stato pesante: l’arrivo del parassita australiano ha fatto registrare un segno meno pari all’ottanta per cento ma ultimamente, con qualche precauzione adottata grazie a molti studi, l’attività ha avuto un po’ di ripresa.
Il professor Ignazio Floris fa un po’ di conti: «Ogni alveare produce circa 35 chili di miele all’anno, ma quando i fitofagi hanno scatenato il loro attacco si è arrivati quasi a zero. Ora possiamo dire che si è arrivati al cinquanta per cento del dato storico. La situazione è ancora molto grave e per questo chiediamo di poter introdurre il parassita che ci aiuterebbe a debellare i fitofagi degli eucaliptus e a far ripartire l’attività degli alveari. Non ci dimentichiamo che le api sono animali importantissimi non solo per il miele, ma per l’intero ecosistema e anche per l’uomo, a iniziare dall’agricoltura».
Eppure, gli apicoltori considerano gli agricoltori tra i loro principali nemici. «Certo, fino a quando le attività non si convertono e si rendono totalmente biologiche la convivenza sarà molto difficile – dice Luigi Manias, che cura 200 alveari nella zona del Monte Arci, al centro della Sardegna – La mia azienda festeggia i 100 anni proprio nel 2017: io l’ho ereditata da mio nonno, il primo apicoltore dell’isola. In ognuna di queste arnie vivono circa 60 mila api, ma la produzione di miele si è ridotta almeno del 40 per cento. Per ricreare gli equilibri e ridurre le sofferenze alle api, ci sarebbe bisogno di un grande piano forestale, che preveda anche la reintroduzione di specie che nelle nostre campagne sono sparite. Se le api muoiono il nostro pianeta non ha molte speranze».
La Stampa – 26 marzo 2017