«Un dovere del ministro della Salute», tutto qui. È con questo spirito severo e istituzionale che Roberto Speranza si è assunto la responsabilità di firmare le ordinanze che faranno scattare il lockdown nei territori dove il rischio di contagio è più alto e dove lo scenario è di «elevata» o «massima» gravità.
Speranza sa bene che quella firma, che gli toccherà mettere dopo aver sentito «i presidenti delle Regioni interessate», è destinata a cambiare per qualche tempo la vita di milioni di italiani, come prevede il nuovo Dpcm per il quale si è battuto nel governo. Ne sente tutto il peso, eppure non vuole che a questo passaggio sia data troppa enfasi. «Perché dovete parlare di me? Fare misure per bloccare il contagio non è una grana, non è un barile che ti viene buttato addosso — commenta tra una riunione e l’altra, «travolto» dai vertici e dalle cose da fare —. È un servizio al Paese».
Il riferimento al «barile» si spiega con l’estenuante confronto-scontro che lo ha visto protagonista, sempre in asse con Francesco Boccia e con il più inflessibile dei capi delegazione, Dario Franceschini. In tutti i vertici la linea di Speranza è stata la stessa: rigore, rigore, rigore. Impostazione che non è cambiata rispetto ai primissimi giorni dell’emergenza, quando disse che avrebbe trattato il coronavirus «come la peste e il colera».
Vista la forza con cui l’Italia è stata investita dalla seconda ondata, il rigore dichiarato non è bastato. Ma Speranza tira dritto e non si volta, convinto che ci sarà tempo per giudicare errori ed omissioni. Adesso il suo compito, che dire gravoso è poco, è interpretare quel margine di discrezionalità che il Dpcm lascia al ministro della Salute e che è stato al centro dello scontro con le Regioni.
Toccherà a lui individuare «le Regioni o parti di esse» che si collocano nella fascia intermedia e in quella di massimo rischio, dove scatteranno chiusure rigide e saranno fortemente limitati gli spostamenti. In Piemonte e Lombardia sarà deciso subito il lockdown? Il passaggio è delicatissimo e Speranza, che in cuor suo è pronto da giorni, invita alla prudenza: «Ci vuole tempo, andrà fatta un’ordinanza…». Il decreto assegna al ministro anche la possibilità di esentare «specifiche parti del territorio regionale» da alcune misure di contenimento.
Nato a Potenza il 5 gennaio del 1979, Speranza ha una laurea in Scienze politiche, un dottorato in Storia dell’Europa Mediterranea, una moglie e due figli, ai quali non si stanca di spiegare che «per papà la lotta al Covid è quel che per i vostri bisnonni fu la Seconda guerra mondiale». Se in questi mesi di pandemia ha scalato molte posizioni nella top ten dei leader più apprezzati dai cittadini, nel governo non tutti lo amano per la sua ostinazione nel tenere il punto. Pier Luigi Bersani, di cui politicamente è un po’ il pupillo, smentisce che sia cocciuto come qualche collega lo descrive: «Far lo scaricabarile è fuori dall’universo mentale di quel ragazzo lì… È uno che si prende le sue responsabilità, senza opportunismo e senza velleità». A leggere i giornali della destra di velleità ne avrebbe fin troppe, per aver scritto un libro, Perché guariremo, di cui Feltrinelli ha rimandato l’uscita in libreria. «Piccoli inciampi che si dimenticano», lo assolve Bersani.
Giuseppe Conte lo stima molto e in più occasioni lo ha anche detto. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina invece si è scontrata anche duramente con il responsabile della Salute, che voleva sospendere la didattica in presenza nelle zone ad alto rischio. Ma guai a chiamarle «zone rosse», perché al ministro la definizione non piace: «Io non ne ho mai parlato».
Il Corriere della Sera