In arrivo anche il rinnovo dei contratti ma per Case e Ospedali di comunità non ci sono fondi
La Stampa. Il piano per abbattere le liste di attesa c’è e consiste in larga parte nel dare un bel po’ di soldi in più a medici, infermieri e personale tecnico-sanitario affinché facciano lavoro extra per smaltire gli arretrati in fatto di visite, analisi, tac e quant’altro. Il fatto è che, trovati i soldi per quella che resta la piaga sanitaria numero uno, per il resto il piatto piange. Perché l’asticella per la sanità, da 2,5 miliardi, è apparentemente salita a 3,2 dopo gli ultimi colloqui tra il Titolare della Salute, Orazio Schillaci, e quello dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ma in quel gruzzolo ci sono circa 2,2 miliardi destinati al rinnovo del contratto dei medici per il triennio 2021-24, quello chiamato a compensare la quota di retribuzione erosa dall’inflazione, pur rivista al ribasso. Quindi ne resta uno che servirà a retribuire meglio il personale sanitario. Ma non c’è un euro per far lavorare medici di famiglia, specialisti ambulatoriali e infermieri nelle nuove strutture territoriali finanziate con 7 miliardi del Pnrr: Case e Ospedali di comunità che così rischiano di rimanere scatole vuote.
Ma partiamo dal lato della medaglia che luccica, quello del piano per abbattere le liste d’attesa. Al ministero della Salute sono andati a fare un po’ di ripasso sui libri di storia sanitaria e hanno visto come il fenomeno abbia iniziato a prendere piede dopo il 1992, l’anno della manovra da lacrime e sangue di Giuliano Amato, che per fare cassa tagliò i compensi orari per l’extra lavoro di medici e infermieri. Da allora la macchina pubblica si è ingolfata, cominciando ad accumulare ritardi nell’erogare le prestazioni. Da qui l’idea di pagare 5 ore di lavoro extra settimanali (portando così l’orario a 43 ore, il massimo consentito dalla normativa europea) a medici, infermieri, tecnici di radiologia e di laboratorio, finalizzate esclusivamente al taglio delle liste che sta molto a cuore alla premier. Un po’ per questo, un po’ per tamponare anche la fuga di medici e infermieri dalla sanità pubblica, il compenso per gli straordinari verrebbe raddoppiato. Quello dei medici passerebbe da 60 a 100 euro all’ora, quello del restante personale sanitario da 25 a 50. In più ai dottori, come richiesto dal loro sindacato Anaao, verrebbe detassata l’indennità di specificità medica, che percepiscono tutti gli ospedalieri. Un’operazione che porterebbe nelle buste paga circa 240 euro in più al mese. A completare il piano c’è poi l’obbligo per i privati di inserire le loro agende di prenotazione in quelle pubbliche gestite dai Cup, con divieto assoluto di chiudere le prenotazioni. La libera professione medica dentro gli ospedali secondo Schillaci incide poco, ma verrà imposto ai direttori generali di applicare la legge spesso elusa che non consente di fare più attività per i solventi che per i mutuati.
I 2,2 miliardi che restano serviranno invece a finanziare il contratto dei medici più atteso: quello che dovrà recuperare l’inflazione. Anche perché i sindacati di categoria hanno minacciato in caso contrario una vera serrata degli ospedali, non sapendo come giustificare con i propri iscritti gli aumenti che stanno già partendo nel settore privato mentre nel pubblico i medici devono ancora siglare il contratto del triennio 2019-21.
La coperta sanitaria però finisce qui. Anzi, ci sono da trovare i soldi per innalzare di 600 milioni di euro l’anno il tetto di spesa per i dispositivi medici, ripianando anche il miliardo circa di sforamento del triennio 2019-21. Un’operazione che sta particolarmente a cuore a Giorgetti, il quale teme la valanga di ricorsi già presentati dalle aziende del settore contro il cosiddetto pay-back, il meccanismo che obbliga i produttori a ripianare gli sforamenti di spesa. Il pressing di Schillaci sul collega di via XX settembre punta a far finanziare l’operazione con soldi presi al di fuori del già esangue fondo sanitario nazionale.
Resta da capire dove trovare i soldi per la riforma della sanità territoriale. Il 42% degli specialisti ambulatoriali lavora meno di 10 ore alla settimana, che Schillaci vorrebbe portare a 48 per far funzionare le Case di comunità, dove il ministro intende far lavorare in team anche i medici di famiglia. Magari portando nella dipendenza quelli più giovani. Due operazioni che hanno dei costi. La manovra non potrà coprirli, ma alcune misure di razionalizzazione di spesa potrebbero liberare risorse che consentirebbero poi alle Regioni di pagare il conto. In particolare Schillaci punta a dare un taglio a quel 20% di accertamenti inutili e a riaccorpare reparti e sale operatorie sottoutilizzati. Operazioni che spetterebbe alle Regioni portare a termine, utilizzando i risparmi per pagare medici e infermieri del territorio. —