Paolo Baroni. Una volta c’erano i ladri di polli, adesso nelle nostre campagne scorrazzano bande super organizzate, gente pronta a razziare ogni cosa, dai trattori a interi raccolti di arance, e poi olive, nocciole, limoni Igp e prodotti ancora più pregiati come formaggi e vini. In cima a questa singolare «lista della spesa» c’è il Parmigiano Reggiano, che soprattutto alla vigilia delle feste va letteralmente a ruba. Secondo le stime della Coldiretti negli ultimi tre anni i furti del formaggio italiano più famoso nel mondo hanno sfiorato i 10 milioni di euro di controvalore. In totale sono state infatti 20 mila le forme di sottratte a caseifici, magazzini, distributori e supermercati.
Colpi facili facili
Ogni forma pesa in media circa 40 chilogrammi e vale 400 euro. Basta mettere assieme una squadra di persone un minimo prestanti, come quella finita in manette a Modena, per svuotare in pochi minuti un deposito e mettere le mani su un bottino non solo ricco, in media un buon colpo può valere tra 50 e 80 mila euro, ma anche facilmente smerciabile.
A volte le forme vengono spedite direttamente all’estero sfruttando l’autostrada che corre parallela alla via Emilia e lungo la quale sono concentrati i 350 caseifici attivi nelle province di Parma, Reggio Emilia e Modena. Il più delle volte il formaggio finisce invece al Sud. Dove, grazie alla complicità di commercianti compiacenti, il Parmigiano, che altrimenti sarebbe perfettamente tracciabile, viene tagliato a pezzi o addirittura grattugiato. Al Consorzio di tutela la definiscono una «piaga», prodotta da una vera e propria organizzazione che oltre ai furti si occupa di smerciare il prodotto. «La refurtiva – spiegano da Coldiretti – va ad alimentare il mercato nero e oltre a provocare un danno ai diretti interessati altera la concorrenza sul mercato a danno di tutti i produttori».
Non c’è solo il formaggio nel mirino dei ladri, anche il vino va alla grande. Come i liquori. Vengono svuotati sia i grandi depositi che le cantine dei ristoranti. E del resto anche al dettaglio vini, liquori e formaggi sono tra i preferiti dai ladruncoli di tutti i giorni che dagli scaffali dei supermercati arrivano a sottrarre in un anno quasi 3 miliardi di euro di prodotti.
«I furti di animali e di prodotti dei campi sono diventati quotidiani raggiungendo un livello insostenibile», denuncia l’ultimo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti ed Eurispes. Nel Salernitano e in Puglia sono all’ordine del giorno furti di ingenti quantitativi di olio extravergine. In provincia di Barletta per prevenire i furti di olive sono arrivati ad organizzare ronde notturne e a ingaggiare vigilantes. Qui, infatti, le squadre organizzate di ladri sono riuscite a rubare in meno di 30 minuti anche 60 chili di prodotto. Nel Lazio (in particolare nel Viterbese) e in Piemonte, nel Cuneese, grossi furti di nocciole sono all’ordine del giorno. Preoccupante anche l’aumento di furti di limoni Igp in Costiera amalfitana, il famoso «sfusato» particolarmente pregiato e richiestissimo dall’industria dolciaria. L’anno passato, secondo stime di Coldiretti, nelle mani della malavita ne sono finiti ben 100 quintali. Mentre nel Catanese sono spariti centinaia di migliaia di chili di arance.
Coldiretti: più pattuglie
Come difendersi? In Emilia, oltre a potenziare i sistemi d’allarme, sempre più produttori di Parmigiano si affidano ai grandi depositi, delle specie di bunker super vigilati gestiti dalle banche locali e capaci di contenere decine e decine di migliaia di forme. Ma è chiaro che serve uno scatto in più: secondo il direttore generale del Consorzio del Parmigiano, Riccardo Deserti, «serve una cabina di regia con le forze dell’ordine e un’operazione di intelligence per contrastare il fenomeno dei furti». «Spetta alle autorità mettere in atto interventi di prevenzione e rafforzare i pattugliamenti», sostiene il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo che chiede di « superare la situazione di solitudine degli agricoltori, puntando sulle nuove tecnologie e invertendo la tendenza allo smantellamento dei presidi di sicurezza presenti sul territorio».
“In Italia riciclano frutta e verdura. All’estero piazzano le eccellenze”
Il comandante dei Nas di Milano: “Dietro a questi furti c’è la criminalità organizzata”
Fabio Poletti. Maggiore Salvatore Pignatelli, comandante dei Nas dei carabinieri di Milano, continuano i furti di Parmigiano, vini pregiati, liquori d’annata. Come mai?
«Non si ruba solo quello. Tempo fa a Lodi abbiamo arrestato 12 persone che avevano rubato ingenti quantità di frutta e verdura, oltretutto destinata alla distribuzione gratuita con una sovvenzione dell’Unione Europea. L’operazione era nata da un controllo a campione in un deposito ortofrutticolo dove uomini del Nas avevano trovato accatastate etichette che indicavano come la merce non era destinata al commercio».
Ma dove finisce la refurtiva? C’è un mercato parallelo delle derrate alimentari rubate?
«Le strade sono due. La frutta e la verdura di quell’operazione erano destinate a rientrare nel normale mercato italiano. Per questo si approntavano finte etichette, false bolle di consegna, tutto per ricostruire una filiera inesistente. Altre merci, pensiamo al Parmigiano o ai vini, hanno un mercato importante all’estero. In parallelo con le derrate sofisticate, con prodotti che scimmiottano i nomi dell’eccellenza alimentare italiana, c’è una forte richiesta anche di merci rubate».
Chi ruba? Ma soprattutto chi acquista sa che è merce rubata?
«Chi ruba fa parte della criminalità organizzata. A Lodi in quell’operazione è stato contestato il reato di associazione a delinquere. Chi acquista sono grossisti che ovviamente sanno che la merce è rubata ma sa di poter contare su guadagni importanti. Le merci più ambite vanno invece all’estero. Una forma di Parmigiano da 39 chili costa vale centinaia di euro. Possiamo immaginare l’entità dei guadagni di questo mercato illecito».
Coldiretti calcola 10 milioni in tre anni solo per il Parmigiano…
«Non c’è solo quello anche se è molto ambito dai sofisticatori. Una forma relativamente piccola vale tanto. La richiesta soprattutto all’estero è molto forte. Quando dico estero mi riferisco soprattutto ai Paesi dell’Europa dell’Est».
Il consumatore come fa a tutelarsi? Come fa a sapere che quel prodotto non è stato rubato?
«Ovviamente se compero un pezzo di Parmigiano da un distributore ufficiale ho più tutele che non se lo acquisto da una bancarella per strada. I rischi maggiori sono legati all’acquisto di merce che non è stata trattata nel modo corretto. È lo stesso discorso delle frodi alimentari dove il danno avviene all’origine nella produzione».
L’Italia è attiva nei controlli?
«Sul settore agroalimentare siamo all’avanguardia nel mondo perché si tratta di prodotti che fanno parte delle nostre eccellenze. Pochi Paesi hanno nuclei dedicati di indagine. Sofisticazioni e furti si scoprono continuamente proprio perché c’è chi indaga e controlla».
“Non ne possiamo più. Ogni mese ci portano via quintali di Parmigiano”
Lo sfogo dei produttori: “I nostri caseifici non possono essere difesi come se fossero banche”
Franco Giubilei. Chiedete a un casaro qualsiasi fra Modena, Reggio Emilia e Bologna se ha subito furti di Parmigiano Reggiano e nella maggior parte dei casi vi sentirete rispondere che negli ultimi anni ne ha subito almeno uno. Non solo, i ladri di formaggio vanno a colpo sicuro, prelevando le forme più stagionate e pregiate, quelle che si piazzano prima su mercati paralleli di cui però si sa poco o nulla. I caseifici isolati e peggio difesi sono le mete preferite di questi gruppi organizzati – ieri la polizia di Modena ne ha sgominato uno che, fra i colpi messi a segno, aveva razziato 168 forme per un valore di oltre 80 mila euro, oltre a 16 mila bottiglie di vino pregiato per circa 100 mila euro -, ma in realtà, a quanto raccontano i diretti interessati, spesso non c’è sistema d’allarme che tenga: i ladri infatti sfondano o forzano gli ingressi e, in bande da sei a dieci persone, portano via il formaggio in meno di un quarto d’ora, prima che la polizia, allertata dai sistemi d’allarme possa sopraggiungere.
Lorenzo Pinetti, presidente del caseificio di Roncocesi, nel Reggiano, è uno dei derubati: «Nel giro di un anno noi abbiamo subito due furti, l’ultimo la notte dello scorso 8 marzo: 220 forme per un valore di 90, 100 mila euro. Nel marzo 2015 avevano rubato altre 146 forme. Il sistema d’allarme c’è, ma la banda è super organizzata ed è capace di eluderlo».
Fra i produttori di formaggio la tensione è alta: «Ci sono caseifici dove hanno colpito anche quattro o cinque volte, un casaro che conosco ha subito due furti in due giorni, gli hanno anche tagliato le gomme per evitare che li inseguisse». L’unica consolazione, aggiunge Pinetti, è il comune denominatore di queste azioni, cioè l’assenza di violenza: «Fortunatamente non si è mai fatto male nessuno, non si sono mai viste armi né aggressioni: scatta l’allarme, rubano quel che possono e scappano via». In un caso si è rischiato un danno collaterale enorme: «Hanno usato un mezzo pesante per sfondare il portone e si sono fermati a pochi centimetri dalle scalere dei formaggi, le avessero colpite avrebbero provocato la caduta di tutte le forme con danni da milioni di euro, un disastro com’è avvenuto col terremoto del 2012».
Un’altra vittima delle bande del parmigiano è Angelo Romagnoli, presidente del caseificio Canevaccia di Gaggio Montano, nel Bolognese, che guarda caso è stato derubato anche lui l’8 marzo: «Noi siamo stati fortunati, perché la stessa notte hanno svaligiato un bancomat e una volante intervenuta per quel motivo ha mandato in parte a monte il furto: avevano rubato 220 forme, 90-100 mila euro di danno, il ladro intercettato è scappato nei boschi e ne sono state recuperate 103. Lui, però, non sono riusciti a trovarlo, per fuggire ha rubato tre macchine. Vanno a rubare a colpo sicuro, non prendono le forme giovani, ma quelle stagionate, evidentemente compiono dei sopralluoghi prima di entrare in azione».
Il direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Riccardo Deserti, fornisce un quadro complessivo della situazione: «Il fenomeno ha avuto un’impennata negli ultimi quattro-cinque anni, da collegare alla crescita generale della criminalità diffusa che opera anche con furti di gasolio e depredando le aziende agricole. Le campagne sono aree più vulnerabili e i caseifici, perlopiù artigianali, spesso si trovano in località isolate, e faticano a dotarsi di sistemi d’allarme evoluti. A ciò si unisce l’alto valore di una forma, fra i 350 e i 380 euro. Il vero problema è capire quali siano i canali di smercio: non sono mai state trovate tracce del formaggio rubato, gli autori sono persone che sanno come far sparire il prodotto». Ultimamente i furti sono mutati: le bande rubano quantitativi più modesti, fra le 50 e le 100 forme a volta, operazioni che compiono in pochi minuti e a piccoli gruppi, con scarsi rischi e resa garantita. (Vai alla fonte)
La Stampa – 22 marzo 2017