Diventeranno centri per esami e visite. Dossier rivisto (solo 31 pagine): «Così risparmiamo e abbattiamo le liste d’attesa»
Non verrà chiuso nessun ospedale in Veneto. I più piccoli saranno invece riconvertiti in «centri spoke» , strutture con bacino di 200 mila abitanti dotate di Pronto soccorso, specialità di base (Chirurgia generale, Medicina interna, Oncologia, Cardiologia con Unità di terapia intensiva coronarica, Ostetricia Ginecologia, Pediatria, Ortopedia, Terapia intensiva, Neurologia, Urologia), servizi di diagnosi e cura (laboratorio, Anatomia patologica, Radiologia, dialisi). Il risparmio dov’è? Fatta eccezione per il Pronto soccorso, sabato e domenica rimarranno chiusi. Lo prevede l’ultima versione — solo 31 pagine contro le 95 dello scorso 1 dicembre— del piano sociosanitario, che ridisegna la rete ospedaliera su tre livelli. Sul primo gradino ci sono le due Aziende ospedaliere di Padova e Verona e i nosocomi dei capoluoghi, definiti «centri hub regionali» , che devono disporre di specialità di base e medio livello, dell’alta specializzazione ed essere sede della centrale operativa del Suem 118. Al secondo posto gli ospedali provinciali, con specialità di base e medio livello per il territorio di riferimento, alta specialità sempre per l’area sulla quale insistono ed essere sede di centro trasfusionale. Al terzo posto, come detto, gli ospedali zonali o centri spoke, nei quali potrebbero trasformarsi, per esempio, gli attuali presìdi di Asiago, Noventa Vicentina, Vittorio Veneto, Oderzo, Jesolo, Caprino, Nogara, Bovolone. «Questi ultimi poli dovrebbero disporre anche di Day-Hospital e Day-Surgery, in modo da assorbire l’ 80%delle richieste dell’utenza, liberare gli ospedali per acuti e snellire le liste d’attesa— spiega l’assessore alla Sanità, Luca Coletto —. E’ la proposta che discuteremo al tavolo tecnico con le Università di Padova e Verona, chiamate ad un ruolo di ricerca e formazione nell’intero sistema, e poi con Usl, sindacati e Conferenze dei sindaci. Il tutto in un’ottica di razionalizzazione della spesa e di miglior applicazione delle risorse a disposizione» . Strategia che prevede anche il potenziamento della «week-surgery» , cioè la chirurgia diurna e settimanale, e il trasferimento di una serie di prestazioni dal regime di ricovero a quello ambulatoriale. «L’ospedale— specifica il piano— a prescindere dai presìdi, è diretto da un direttore medico, unico responsabile organizzativo dell’intera funzione ospedaliera» . Una nuova figura è prevista anche per la medicina territoriale. «Il territorio — si legge nel documento elaborato dalla segreteria regionale della Sanità — a prescindere dal numero di sedi distrettuali, sarà diretto da un direttore unico, responsabile organizzativo-gestionale nominato dal direttore generale con proprio provvedimento» . Sarebbe dunque il quinto uomo in ogni Usl, già dotata di dg e direttori sanitario, amministrativo e dei Servizi sociali. Senza contare i responsabili di distretto. Non pare un gran risparmio introdurre un altro dirigente, a meno che tale ruolo non venga ricoperto da un capo di distretto. Un altro passaggio cruciale è il ritorno, seppur con linguaggio «burocratese» e quindi crip- tico, al dibattito sul numero delle aziende sanitarie. «L’analisi storica sotto il profilo organizzativo e funzionale porta a confermare che le Usl con un bacino di riferimento compreso tra i 200 mila e i 300 mila abitanti presentano migliori performance gestionali e assistenziali— recita il piano— configurandosi questa come dimensione ottimale a cui tendere» . Il messaggio è chiaro: secondo noi tecnici sarebbe meglio tenere le realtà con 200/300 mila abitanti, la politica veda poi cosa fare. Nel Veneto, stando ai dati 2009 del libro bianco, sotto questa soglia ci sono dieci Usl su 21: Belluno (129.073 abitanti), Feltre (84.949), Bassano (179.497), Thiene (187.902), Arzignano (180.577), Chioggia (134.211), Este (185.382), Rovigo (175.129), Adria (74.805) e Legnago (154.705). Difficile pensare allo scioglimento, più ragionevole l’ipotesi dell’accorpamento, per esempio Rovigo-Adria, Belluno-Feltre, come ipotizzato in passato. «A parte qualche eccezione, le realtà più piccole sono quelle che funzionano meglio — osserva Bortolo Simoni, dg dell’Usl 2 di Feltre — i disavanzi maggiori li accumulano le grandi aziende» . In realtà il nodo da superare è la logica di spartizione partitocratica delle Usl, che finora ha impedito di ridurle. Gli ultimi input del piano da segnalare sono la diffusione capillare di ospedali di comunità e Utap (ambulatori con medici di base e specialisti), oltre all’implementazione delle cure domiciliari, da garantire anche h24 e 7 giorni su 7. Magari «attraverso lo sviluppo di centrali operative come punto di ricezione delle istanze e di coordinamento delle risposte»
Corriere del Veneto – 23 gennaio 2011