«Le future schede di dotazione sanitaria non le farà Venezia, le faranno i medici. E se non arriveranno nuovi medici disponibili a prendere servizio nelle aree più marginali, come quella alpina, potrebbero non essere più attivi i reparti di oggi». Il commissario dell’Usl di Feltre lo ha detto, papale papale, ai sindaci della conferenza che si sono riuniti ieri a quella che avrebbe dovuto essere l’ultima seduta, se la Regione non fosse ancora a bocce ferme, per quanto riguarda il futuro regolamento. Così si continuerà a discutere e a prospettare, in attesa di confrontarsi con la comprimarietà del distretto di Belluno, il futuro della sanità feltrina.
Lo si è fatto anche ieri, sulle note del canto del cigno di Michele Balen e sullo scetticismo del presidente Paolo Perenzin che ha riferito quel poco che si sa ancora, perlomeno come tempistica, dall’incontro con gli assessori regionali Coletto e Lanzarin. Ed è stato Rasi Caldogno a portare l’attenzione sul presente e sul futuro di una situazione legata alla carenza di medici, alle scuole di specializzazione che sfornano pochi professionisti, a un sistema nazionale e universitario che contingenta gli aspiranti dottori i quali, una volta laureati e specializzati con il contagocce, scelgono ben altri lidi per il percorso di carriera.
«Non mi preoccupano le conseguenze per Feltre rispetto ai contenuti della legge regionale: non si toccheranno né il piano sociosanitario né le schede di dotazione almeno fino al 2018, si completeranno la piastra e l’ospedale di Lamon che viene potenziato e riconosciuto nella sua valenza di centro di riabilitazione extraregionale. Non mi preoccupa il ridisegno dell’assetto organizzativo delle aziende rispetto al quale posso assicurare per Feltre che saranno limitati al massimo i trasferimenti del personale alla sede dell’Usl Dolomiti, ed è nostra cura puntare su un’organizzazione del lavoro che consenta il sostanziale mantenimento dello status quo».
Ciò che preoccupa molto il commissario Rasi Caldogno, e non lo ha mandato a dire nemmeno questa volta ai sindaci, è la mancanza di medici. Un fenomeno che si inasprirà nel medio periodo «se solo pensiamo che i medici curanti del baby boom anni 60, si avviano a pensione. E chi li rimpiazzerà? Dovremo passare a massimali oltre ogni limite per garantire l’assistenza. E cosa dire di una piastra che fra un anno e mezzo sarà riconsegnata ai professionisti con una Tac già in funzione, che è la più performante di tutto il Veneto? Con ginecologia stiamo facendo i salti mortali, con ortopedia basta un male di stagione che colpisce uno degli specialisti per ridurre le sale operatorie. Se non ci sono gli anestesisti, chi farà funzionare sette sale operatorie?».
Già adesso, ha fatto intendere il massimo dirigente, si è al “calciomercato” fra le Usl venete, per aggiudicarsi uno specialista che urge. «Le prossime schede di dotazione non le fa Venezia, ma le faranno i medici se risponderanno, o meno, ai concorsi. Questo vale per Belluno come per Rovigo che soffre della stessa carenza».
IL Corriere delle Alpi – 6 dicembre 2016